Il matrimonio dei preti non s’ha da fare

L'intervento del Cardinale Martini sul tema del celibato dei preti solleva questioni importanti. Ha ragione chi sostiene che collegare questa discussione alla rivelazione di scandali pedofili nella Chiesa sia gravemente fuorviante. Non solo perché la piaga dell'abuso dei bambini è piuttosto trasversale rispetto alle categorie sociali. Investe drammaticamente, per esempio, anche il mondo della famiglia, della scuola, o dello sport.
Il collegamento quindi tra celibato e tendenza all'abuso è distorto e semplicistico. Ciò detto, la questione si pone, e non è notoriamente materia di dogma e di cardini della fede. Pietro, prescelto da Gesù come fondamento della Chiesa, era sposato, anche se in un certo passaggio del Vangelo si parla di una vocazione apostolica che spinge a lasciare persino la famiglia per un amore sacro e sacerdotale verso il Divino Maestro. Gesù certamente non era sposato, contravvenendo in questo alla prassi diffusa nel mondo rabbinico ebraico del suo tempo. Tanto che le farneticazioni di Dan Brown, hanno avuto tra le loro matrici ideologiche anche un certo sdoganamento del ruolo delle donne nella chiesa primitiva. Certo ai piedi della croce rimangono Maria, madre di Gesù, e Maria di Magdala, apostola degli apostoli, come venne definita in era protocristiana, la prima a cui Gesù si rivela risorto.
Il Cristianesimo è quindi tutt'altro che misogino, e in ogni caso il celibato venne sollecitato per la prima volta ufficialmente nel Concilio di Elvira all'inizio del IV secolo d.C., riaffermato da Gregorio VII nel XII secolo, ma divenne prassi veramente diffusa nella Chiesa latina solo a partire dal Concilio di Trento nella seconda metà del 1500. Scegliere di donarsi interamente in questo mistero di sponsalità con il Divino, è un dono specifico della Chiesa latina. Vi sono più di venti chiese cristiane d'Oriente di tradizione bizantina, ma non ortodosse perché in piena comunione e obbedienza con il Papa, in cui convivono da secoli un clero celibe con uno uxorato, cioè con moglie, senza che la cosa susciti scandalo neppure in Italia, in due diocesi bizantine come quella di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia, di tradizione greco-albanese.
Come ben si vede la discussione può essere assolutamente serena e non ideologica, e mi pare che si possa così riassumere.
Primo: il matrimonio dei preti non è la panacea delle vocazioni, perché vi sono seri problemi a trovare operai per la vigna del Signore, anche nelle chiese d'Oriente. O persino pastori (che sono una realtà completamente diversa) nelle chiese riformate e protestanti europee. Secondo: non è affatto scontato che un sacerdote con famiglia abbia una migliore qualità del tempo pastorale da dedicare al suo gregge «tenendo famiglia», e dovendo in qualche modo rendersi garante di fronte alla comunità anche della testimonianza di fede, oltre che della moralità, di sua moglie e dei suoi figli. Terzo: la piena libertà da vincoli materiali e patrimoniali di trasmissione ereditaria è un sicuro fattore di dono e di libertà evangelica da pesanti vincoli di concretezza economica. Quarto: anche nelle chiese d'Oriente, dove pure ci sono presbiteri coniugati, si ordinano vescovi soltanto monaci che, in quanto tali, hanno fatto una scelta di voto alla castità e al celibato. Il rischio è quindi quello di dividere i pastori in celibi in carriera e sposati di seconda categoria. Quinto: un'ascesi che riguardi anche il tema del sacrificio sessuale è nelle tradizioni sacrali e sacerdotali di tutte le tradizioni spirituali, persino nello sciamanesimo, nel buddismo o in molte tradizioni indiane, orientali e amerinde. Come se da questa rinuncia dovessero scaturire doni soprannaturali.
Ciò detto, la presenza di pastori dedicati alla cura della vita quotidiana della chiesa e con l'esperienza di famiglia, potrebbe essere, nel futuro, straordinariamente utile, vale in questo l'ottima esperienza dei diaconi permanenti, che già oggi irradiano, nelle vite parrocchiali che animano, la capacità di ascolto, di accoglienza e di servizio che promana dall'esperienza di padri e di mariti. Già oggi molti vescovi o parroci sono consapevoli che molti di questi «viri probati» potrebbero accedere al dono del sacerdozio. Garantendo una vita sacramentale ed eucaristica nella Chiesa più intensa e diffusa, senza che venga meno il ruolo di giovani vocazioni che, con il fuoco della passione e con la scelta di radicalità paolina o ignaziana, decidano di darsi senza vincoli familiari totalmente alla missione ecclesiale.
Come ben si vede, la questione è molto più complicata, ma anche più serena di un dibattito ideologico «preti sposati sì, preti sposati no». Anche perché, per esempio, in questo caso uomini sposati da un quarto di secolo potrebbero donarsi gioiosamente al sacerdozio, con grande patrimonio di esperienza e saggezza umana.

Ma in questo, come in altri ambiti del magistero, si pensi all'aborto e alla difesa della vita, che espone al martirio il Cardinale Bagnasco, il mistero della Chiesa non cessa di essere paolinamente «scandalo e stoltezza» da venti secoli dopo lo scandalo degli scandali: quello della croce e della resurrezione.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica