Max Beerbohm, la cronaca snob di un amore in stile oxfordiano

In «Zuleika Dobson» il grande illustratore dell’Inghilterra vittoriana s’ispira a un episodio del «Don Chisciotte» di Cervantes

Nel presentare un libro che contiene la parodia del dandy - figura capace di segnare l’epoca a cavallo tra Otto e Novecento - spiace dover scomodare il povero Oscar Wilde, oberato in questi ultimi tempi da un superlavoro a supporto di presentatori televisivi, chef, ospiti di talk show. A nostra parziale discolpa, non useremo un suo aforisma, nemmeno uno di quelli rimasti immuni dal compito di nobilitare l’asparago alla besciamella o il concorrente del quiz. Prenderemo invece una strada meno battuta, e presenteremo l’autore a partire dall’immagine di Mr. Wilde, intesa però in senso letterale, come disegno, o meglio caricatura. Una delle tante caricature che l’illustratore e scrittore Max Beerbohm pubblicava sulle riviste londinesi di epoca vittoriana ed edoardiana, insieme alle sue satire sui costumi e sulla società del tempo.
E affinché si sappia che il nostro conosceva bene ciò di cui parlava, va subito detto che lui stesso fu un dandy. Si sottopose al duro apprendistato per diventarlo nell’Università di Judas, il medesimo luogo in cui è ambientato il suo romanzo Zuleika Dobson. Una storia d’amore a Oxford (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 315, euro 18, traduzione di Ettore Capriolo). Nessuno meglio di lui, dunque, poteva riprodurne l’atmosfera nebbiosa e monacale, ingessata da rituali e formalismi di ogni genere. E nessuno meglio di lui poteva ritrarre i rampolli dell’upper class, con la loro devozione assoluta a modelli di stile come il giovane Duca di Dorset, magister elegantiarum con la sua sfilza interminabile di nomi e onorificenze tra cui l’Ordine della Giarrettiera, e con il suo club talmente esclusivo da esserne egli stesso presidente nonché unico membro. A questo quadro mummificato è fatale l’irruzione della giovane nipote del rettore, donna il cui infinito potere di seduzione scatena la follia generale.
Il romanzo è un marchingegno tanto esile quanto ben calibrato, palesemente ispirato nell’intreccio al dramma pastorale di Marcella e Crisostomo, nel capitolo XIV di Don Chisciotte. I repentini, imprevedibili cambi di ruolo tra chi seduce e chi fugge sono uno degli ingredienti più divertenti, fonte di continue sorprese. Il dramma vive di una miscela perfetta, quasi matematica, tra ciò che avvicina e ciò che allontana i due protagonisti. Entrambi vanitosi, frivoli, capricciosi, egocentrici, avvenenti, e già famosissimi malgrado la giovane età. Le differenze stanno invece nello stile, nelle origini sociali, nel grado di cultura.
L’umorismo la fa da padrone con calembour, scambi fulminanti, rovesciamenti improvvisi, situazioni paradossali, in puro stile da commedia brillante. Memorabile una considerazione del Duca mentre medita il suicidio: «Morire prima della regata sarebbe da parte mia un atto scortese nei confronti di questa gara». Altrettanto significativo il punto in cui la donna, di fronte all’uomo che sta per uccidersi per lei, sembra dispiacersi (o compiacersi, il confine è labile) per la consapevolezza di non poter amare chi la ama: «Perché non ci si può innamorare degli abiti di un uomo?». Una frase capace di racchiudere per intero il suo personaggio.
A fare da cornice, diverse notazioni di carattere psicologico e sociale, dall’eccessiva sentimentalità degli inglesi al «decorativo isolamento» in cui si chiudono istituzioni venerabili come l’università di Oxford. Molteplici i rimandi alla cultura classica, tra cui spiccano i busti degli imperatori romani, presenze mute eppure in qualche modo partecipi. Sono loro - insieme al narratore, ironico ed equidistante - a dare un tocco di umanità alla vicenda e a far da contraltare ai protagonisti, che paradossalmente appaiono i più distaccati. Nessuno dei due, infatti, valuta fino in fondo le conseguenze delle azioni, e gioca con i propri sentimenti e con la propria vita con assoluta irresponsabilità.

Passioni e sentimenti non sono cose da Oxford, sembra dire Beerbohm, né tantomeno da dandy. E per capire quanto ci fosse di tragico in questa verità, bisogna scomodare un’altra volta - l’ultima - il povero Wilde, anch’egli vittima di quelle tentazioni a cui non poteva resistere.

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