Meglio un bravo artigiano di un laureato controvoglia

Secondo Paola Mastrocola, autrice di Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda), non tutti vogliono passare il tempo sui libri, e dunque perché obbligare studenti renitenti a occupare i banchi di scuola? Sarebbe davvero un danno se andassero a lavorare, come forse preferiscono, invece di intasare i licei? Mastrocola pensa di no. Il libro affronta così un tema solo in apparenza collaterale all’argomento del libro, cioè lo stato dell’istruzione: il vilipendio del lavoro manuale, artigianale, tecnico-pratico. «Siamo oggi quasi tutti convinti - scrive l’autrice - che, se un ragazzo invece di andare al liceo va a fare pratica in una falegnameria, sia un fallito e un mediocre, uno scarto della società, destinato a essere infelice tutta la vita. Che solo alcuni lavori siano buoni: quelli che danno prestigio e denaro. Gli altri, quelli manuali, artigianali e tecnici sono cattivi lavori, residuali, da lasciare ai reietti della società».
Da lì a rivalutare le scuole professionali, il passo è breve. Mastrocola, grazie al cielo, non esita a farlo. E immagina una W-scuola (la «W» sta per work, lavoro) destinata a chi «vuole fare, nella vita, un lavoro manuale, pratico, tecnico. Diventare artigiano, per esempio, o tecnico: geometra, informatico, meccanico. Fare, costruire, riparare. Fare con i materiali concreti: il ferro, il legno, il vetro, le vernici, la calce; oppure fare in senso più teorico: progettare, programmare, revisionare».
Nella W-scuola, però, si insegnano anche le materie «inutili»: la letteratura, la musica, l’arte. Non tanto le varie interpretazioni del Barocco, o l’elenco cronologico delle opere di Caravaggio, o le rime petrose di Dante Alighieri. La Mastrocola intende un’educazione estetica, che consenta a chiunque di arricchire il proprio tempo libero (e perché no? anche il lavoro stesso) grazie alla sensibilità verso il bello: «Sto pensando alla persona, prima ancora che alla sua professione, sto pensando alla sua vita in generale, alla sua giornata, quando torna a casa e si rilassa».
Siamo nel mondo dei sogni? Forse sì. Perché le professionali sono la cenerentola dell’istruzione, con un doloroso e incalcolabile spreco di potenzialità. Lo dico per esperienza diretta, avendo insegnato proprio ad artigiani del legno ed elettricisti: non era difficile capire che le circolari del ministero, in linea di massima, contenevano istruzioni (e soprattutto prescrizioni) pensate unicamente per i licei. Come l’esame di maturità, in cui molte tracce della prova d’italiano erano inavvicinabili per gli studenti di un istituto tecnico.
La riforma Gelmini non ha trascurato questo settore, e ha portato raziocinio in un mondo troppo frammentato, promuovendo un maggiore raccordo tra aziende del territorio e scuole (oltre a stage e tirocini è prevista la presenza, nei comitati tecnico-scientifici, di rappresentanti delle imprese della zona). Speriamo sia l’inizio di una nuova sensibilità.
Oltre alla W-scuola, la Mastrocola immagina anche la K-scuola (knowledge, «conoscenza»), ovvero la scuola dello studio astratto, dove valgono innanzi tutto i contenuti. «Filosofia, letteratura, latino, greco, matematica, fisica: astrazione pura», scrive Mastrocola. Si direbbe la scuola della tradizione, mandata in soffitta dalla C-scuola: la scuola della comunicazione, «voluta, da almeno quindici anni, dall’Europa e dalla squadra di burocrati-tecnocrati del Ministero». Nella C-scuola prevalgono il metodo e la didattica.

I suoi obiettivi sono «la socializzazione, il lavoro di gruppo, la cooperazione, la cittadinanza, la Costituzione, la flessibilità, il multitasking, e il problem solving». Il sapere astratto, umanistico in particolare, non interessa. Per i suoi sostenitori, questa è la scuola «del Futuro». Ma chi l’ha detto che il futuro porta sempre con sé il progresso?

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