MELANIE KLEIN Il gioco dell’inconscio

L’indagine sulle proprie pulsioni (inclusa quella quasi incestuosa con il fratello Emanuel), la fama, gli attacchi dei colleghi gelosi nella ricca biografia di Julia Kristeva

«Dissidenti rispetto ai loro ambienti d’origine e professionali, vittime dell’ostilità dei clan normativi, ma capaci anche di combattere senza quartiere per sviluppare e difendere le loro idee originali, la Arendt e la Klein sono donne indomite, il cui genio è consistito nel correre il rischio di pensare»: così conclude Julia Kristeva la sua introduzione a questo secondo volume (ma terzo in traduzione italiana) dedicato al genio femminile. Si tratta della trilogia uscita da Fayard tra il 1999 e il 2002: Le génie féminin: la vie, la folie, les mots, ovvero Hanna Arendt (I), Melanie Klein (II), Colette (III). Le edizioni nel nostro Paese sono quelle di Donzelli, di cui la più recente, appunto, è questa Melanie Klein. La madre, la follia, a cura di Monica Guerra (pagg. 290, euro 23,50).
Indomita la Kristeva stessa, che da sessant’anni «corre il rischio di pensare», e cerca e ritrova in ciascuna delle sue «eroine» un po’ di sé, della sua natura complessa, del suo genio femminile poliedrico. Bulgara trasferitasi presto, dopo la laurea, a Parigi, dove continua i suoi studi di linguistica e di semiotica, vi affianca un lungo percorso psicoanalitico: ora insegna a Parigi - e, come visiting professor, in qualche altra università del mondo - ed è psicoanalista. I suoi interessi spaziano dalle scienze che abbiamo nominato a molto altro, la sociologia, la politica e ovviamente la letteratura: citiamo solo il bellissimo saggio del 1974 su Lautréamont et Mallarmé, o quello su Proust et l’expérience littéraire, del 1994. In Italia viene spesso e volentieri. A marzo di quest’anno era a Roma, dove le hanno assegnato il premio Amelia Rosselli per il volume su Hannah Arendt.
Ecco allora la biografia «totale», di Colette, in cui l’analisi delle opere è spesso preceduta o seguita da una lettura attenta dei dati biografici, particolarmente importanti soprattutto per un’autrice del suo genere: autobiografia e letteratura s’intrecciano senza posa, la sua libera vita, le sue avventure amorose, tutto si riverbera nelle sue pagine, lei per la quale, ricorda la Kristeva, «tutti i sensi sono organi sessuali».
Ed ecco quella di Hannah Arendt, con la sua visione della filosofia, della metafisica, che servano ad alimentare la vita dello spirito, donandogli la facoltà di rinascere infinite volte; e che sappiano «scendere in campo», coniugandosi con l’esperienza politica e sociale. «La Arendt afferma - ha dichiarato Julia Kristeva in una recente intervista - che il modo migliore di opporsi alle diverse forme di globalizzazione e di totalitarismo sta nel tentativo di ricreare nel pensiero e nel legame sociale il “miracolo della nascita”. \ È il fondamento ontologico della libertà. Grazie al fatto che nasciamo, e ci sono sempre nuovi individui che vengono al mondo, siamo capaci di libertà».
Saga della conquistata - ritrovata - libertà, dunque, per le donne della sua trilogia: e accanto a «la vie» di una donna che si occupa di filosofia e di politica, «les mots» della scrittrice che attraverso la pagina raggiunge il pieno riconoscimento di sé, ecco «la folie» della fondatrice della psicoanalisi infantile, che ad essa approda dopo un percorso difficile di figlia (della terribile, prevaricante Libussa), di moglie e di madre a sua volta; colei che non si scoraggia dinanzi agli attacchi dei colleghi psicoanalisti, e che mai fa mancare l’amore a quello che considera «l’altro mio figlio: il lavoro».
Indagando in primo luogo se stessa, le proprie pulsioni (il legame quasi incestuoso col fratello Emanuel, ad esempio), e poi il rapporto con il marito e i tre figli - i suoi primi analizzati -, Melanie Klein, ebrea viennese, studia psicoanalisi con Ferenczi a Budapest, dove si trasferisce da sposata, e seguita a Vienna con Karl Abraham. Diviene psicoanalista a quarant’anni, nel 1922, ed acquisisce fama immediata dopo il suo trasferimento a Londra. Il saggio La psicoanalisi dei bambini, del 1932, sancisce definitivamente la sua posizione scientifica. Imprescindibili i suoi studi sulle psicosi infantili, sull’autismo; e il suo metodo fondato sul gioco (così ad esempio nel trattamento, ampiamente descritto, del figlio Erich): «giocare sarà la strada maestra dell’inconscio allo stesso titolo del sogno di Freud», in quanto vi si palesa tutta una gamma di segnali, linguistici, gestuali che l’analista, e co-giocatore, saprà interpretare.
Lavorando sulle teorie freudiane, la Klein ne amplia ed arricchisce la portata; la sua vis innovativa sta soprattutto nell’aver attribuito importanza capitale alla figura materna («Questa figura arcaica minaccia e terrorizza nella sua onnipotenza»), nella sua parte più emblematica (il seno) e nella sua totalità; con ciò che discende dalla loro alternanza di presenza/assenza. La Klein sposta in un tempo assai più precoce (parla dei sei mesi) la sofferenza dell’individuo, il senso della perdita e l’angoscia di morte. La perdita, e il senso di colpa che l’accompagna, la sofferenza del lutto e la conseguente «riparazione», ovvero la simbolizzazione dell’oggetto perduto interno ed esterno, sono alla base della creatività: «le idee sono surrogati del dispiacere» scriveva Marcel Proust, essendo giunto per altre vie alla medesima conclusione.
«Freud incentra la vita psichica del soggetto sull’esperienza della castrazione e sulla funzione del padre», spiega la Kristeva; «senza ignorarle, Melanie Klein le fa poggiare su una funzione materna \. Eppure la madre, così privilegiata, è lontana dall’ergersi a culto, come sostengono troppo semplicisticamente i suoi avversari. Il matricidio infatti, che la Klein fu la prima a concepire non senza audacia, è all’origine, insieme con invidia e gratitudine, proprio della nostra capacità di pensare». Matricidio metaforico dal quale prende avvio la crescita del soggetto, ovvero, ancora una volta, la sua capacità simbolica.


Il saggio della Kristeva, pur essendo molto tecnico, si apre tuttavia anche alla comprensione del pubblico non specialistico, che vi trova continui spunti per una lettura più approfondita del proprio vissuto, da considerarsi - e grazie alla Klein è ormai dato acquisito - a partire dai primissimi mesi o meglio dalla chiusa vita prenatale.

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