Bruno Fasani
Ancora una volta la cronaca ci consegna la storia di bambini comprati e abusati da perversi pedofili. Stavolta è accaduto a Roma. Poco importa cosa si pensi di questi adulti, tra i quali spiccano fior di professionisti e qualche prete fallito. Saranno anche malati, ma la loro è una malattia tremenda. Sono laviaria delluomo, che ruba il corpo e la dignità degli innocenti. Li contagia, precludendone per sempre un destino di sereno equilibrio. E come si fa con laviaria, bisogna mobilitare il mondo per bloccarne la diffusione. Costi quel che costi, purché si estingua la stirpe di chi scorrazza per le strade o tra le case, col letame sulla coscienza.
Ma la storia di questi abusi rimanda anche ad altri adulti, con non minori responsabilità. Si tratta purtroppo dei genitori Rom di questi stessi bambini. È inutile tacere o far finta di niente, anche se questo finirà per rafforzare limmaginario collettivo, che ritiene gli zingari ladri, vandali, sporchi, accattoni, sfruttatori di bambini. Vorremmo ribellarci a queste generalizzazioni che fanno dei Rom letnia più impopolare dEuropa. Magari solo per ricordare il prezzo delle loro umiliazioni, i martiri lasciati nei campi di concentramento, senza che nessuno ne celebri la memoria, la precarietà della vita, tra tradizioni nobili, ma anche con un destino in salita, senza prospettive e certezze di integrazione sociale.
Ma è proprio sulla frontiera del rispetto per le nuove generazioni Rom, che i genitori devono assumersi la responsabilità di ciò che accade ai propri figli. Perché non è normale lasciare un ragazzo di undici anni sulla strada, a tutte le ore del giorno e della notte, senza tutela e senza controlli, allunica condizione che porti a casa moneta sonante. Così come non è normale che un genitore finga di non sapere dentro quali spire di abiezione finiscono le proprie creature, sottraendosi alla doverosa tutela, che è richiesta ad ogni credibile genitorialità. Garantire listruzione di un minore, evitare il suo sfruttamento per fini di lucro, vigilare sulla sua sicurezza morale e fisica, sono priorità alle quali nessuno può sottrarsi neppure dietro le giustificazioni romantiche e un po retrò della suprema libertà dei «figli del vento».
Oltretutto nello scenario perverso della pedofilia, non da oggi, la cronaca porta alla ribalta i figli dei Rom. Torino come Bergamo, Milano come Verona, dentro quellasse geografico, sazio e produttivo, dove fermenta il vizio al pari dellingordigia di chi fiuta il profumo del denaro. Un fiuto che ha spinto alcune famiglie di nomadi a prestarsi a questo gioco perverso, mettendo tra le braccia di voraci piraña le carni fresche delle loro creature. Una vergogna sociale, che interpella la sensibilità collettiva, al pari delle forze dellordine, per impedire luso dei minori sulle strade e un controllo più serrato, per accertare leffettiva appartenenza biologica di questi ragazzi alle famiglie che li mandano allaccattonaggio. Lombra del racket dei bambini, presi da povere famiglie dei Paesi dellEst per pochi soldi e mandati sulla piazza a far cassetta, sembra allungarsi con i toni preoccupanti di un mercato umano disgustante.
È su questa piaga che i Rom devono avere la forza di dissociare le proprie tradizioni, degne dessere raccontate, dalle abitudini sconvolgenti dellarrangiarsi a tutti i costi, di cui dovrebbero vergognarsi, servendosi di manovalanza minorile o speculando sulle malformazioni dei loro membri più deboli. La legittima rivendicazione del nomadismo non può accompagnarsi allidea che siano i piccoli, i minorati, le donne, i neonati, mandati ai semafori o sulle piazze del vizio, a dover garantire la pancia piena agli adulti, ridotti a sedentari cassieri degli introiti a buon mercato.
Nella lunga catena della storia umana, scritta secondo natura, demandare ai piccoli il compito di farsi mantenere, più che un fatto culturale, risulta una profanazione. Nessuna integrazione sociale sarà possibile e nessuna tradizione risulterà credibile se non si avrà il coraggio di ripristinare la dignità degli innocenti, restituendo loro i diritti negati.
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