Il messaggio «forte» dell’arte povera di Jannis Kounellis

Sabrina Vedovotto

Greco di nascita ma ormai considerato a tutti gli effetti italiano di adozione, Jannis Kounellis, per i più intimi Gianni, si presenta con un nuovo lavoro. Appositamente pensato e creato per lo spazio espositivo, l’associazione culturale di Valentina Bonomo. L’installazione si dipana nelle due stanze. Quasi all’ingresso, sulla sinistra, un tavolo, ovviamente di ferro, con due sedie un drappo e un sasso. Nella stanza più grande un secondo lavoro, questa volta realmente installativo. Due letti di ferro ricoperti da stoffe, con inserti di cappotti all’interno, un letto realizzato allo stesso modo, però collocato come un quadro a muro, e poi due grandi e lunghi pezzi di ferro poggiati a terra, quasi a creare una ideale croce. Posti delicatamente sopra, un mazzo di fiori.
Gli elementi chiari a farci riconoscere Kounellis ci sono tutti: i famosi simboli di povertà, quell’iconologia che fin dall’inizio, dagli anni Sessanta, lo contraddistinguono e lo rendono una delle figure di maggior spicco e interesse dell’arte povera. Kounellis lavora ormai da oltre quarant’anni, con gli stessi linguaggi, mettendo la stessa cura e la stessa partecipazione ad ogni mostra, ad ogni atto.
Possiamo definirlo un vero mostro sacro dell’arte contemporanea. A dispetto del suo curriculum, del normale avvicendarsi delle epoche e quindi degli artisti, lui non si è fatto mai illusioni, ma ha sempre lavorato seriamente e con coscienza. Riflettendo ogni volta sul mondo circostante. Con maniere talvolta delicate, altre invece forti e addirittura struggenti. Tracciando un solco indelebile tra lui e gli altri. In questo caso, con questo nuovo approccio al contingente, ancora una volta stupisce per la sua capacità di sapersi rinnovare, rimanendo però sempre fedele a se stesso. Un odore forte pervade le due stanze della mostra, non si può stare molto dentro, dà fastidio, crea disagio. Così come disagio lo crea il vedere quelle stoffe al cui interno troviamo altri pezzi, brandelli di vestiti, chiaramente brandelli di persone, di vite passate, accumulate una sopra l’altra.
Il colore rosso mattone, poi, non agevola il piacere di sostare in quello spazio. Certamente una vis polemica per tutto ciò che sta accadendo, per esempio i fiori, un mazzetto simile a quelli che si portano al camposanto, posti sopra il ferro, che rappresenta il passato ma anche il presente, e probabilmente il futuro. Qualcosa che esiste a prescindere da noi, umili umani terrestri, di passaggio da queste parti. Non dimenticando il tavolino posto all’ingresso, elemento unico con le due sedie, che anzi lo sorreggono e diventano quasi le gambe. Un oggetto unico, indivisibile, e ovviamente, inutilizzabile. Così come sono inutilizzabili i letti, quelli posti in orizzontale, e quello in verticale.

Oggetti decontestualizzati non solo dal loro luogo naturale, ma anche e soprattutto resi, evidentemente, inutili per qualsiasi cosa.
Galleria Bonomo, via del portico d’Ottavia 13. Orario: dal lunedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30.

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