Mettere a dieta la «bestia» Rai? Un’ottima idea

Caro Granzotto, per mettere in ginocchio la Rai, oltre che per mandare un forte segnale sia di disgusto sia politico (poi l’intendenza seguirà), e quindi arrivare alla privatizzazione della tv di Stato, avrei una ricetta molto semplice: razionarle ferocemente i fondi - in modo da affamare la «bestia» - ovvero pagando il canone non in un’unica soluzione ma in quattro rate trimestrali da 28,97 euro l’una. Se saremo in tanti penso che ce la potremo fare.
Sesto Fiorentino (Firenze)

Affamare la bestia! Buona idea. Fu Ronald Reagan, se ricordo bene, a usare questa espressione: costringere lo Stato alla cura dimagrante per farlo meno «pesante», meno invasivo e di conseguenza ridurre il suo raggio d’azione nell’economia. «Affamare la bestia» è dunque slogan liberale e liberista e ciò significa che è anche politicamente scorretto. Esattamente quel che ci vuole. In verità, affamare quella bestia della Rai è proposito non nuovo: periodicamente i cittadini inferociti invocano giustappunto lo sciopero del canone e non so quante volte ho spiegato come fare (sembra difficile, ma non è così. L’unico rischio che si corre, già adesso remoto e che diverrebbe remotissimo nel caso in cui a scioperare fossero decine di migliaia di teleabbonati, è ritrovarsi il televisore chiuso e sigillato in un sacco di iuta. Il televisore. Uno. A scelta. Magari quello che fa i capricci e che è finito in cucina). Però non si è mai passati dalle parole ai fatti e la Rai continua a spendere, spandere e seguitare ad aprire voragini nei suoi bilanci. Se cominciassimo a versargli ratealmente il miliardo e mezzo e passa che incamera con gli abbonamenti finirebbe davvero nelle peste, dovendo retribuire ogni mese - e parliamo di oltre un miliarduccio in valuta comunitaria - più di tredicimila dipendenti, mille e settecento dei quali giornalisti (330 con la qualifica di direttore o vicedirettore. In pratica ogni cinque redattori c’è un capintesta) e 347 gallonati dirigenti. Oh, intendiamoci, caro Cerofolini: tutta bravissima gente, tutti fior di professionisti. È che sono un mucchio e mi vien pena pensare a quanti sono costretti a girarsi i pollici invece di avventarsi da par loro sulla notizia, cioè su Berlusconi. Perché lì batte la lingua, sul dente che duole - oh come duole! - nell’Ok Corral di Saxa Rubra. In ogni modo, mi dico per consolarmi, perché poi dovrebbero essere proprio loro a pagar lo scotto dell’affamamento della bestia. Eh, ce n’è di erba da tosare prima di lesinare il pane alle redazioni dei tiggì. Però tosare sarebbero costretti a tosare e siccome al pari della notte anche il portafogli vuoto porta consiglio, dal cavallo di via Teulada s’alzerebbe (alto) un nitrito, o se si vuole un grido di dolore subito raccolto dalle «forze sane della nazione»: basta! Così non si può andare avanti! Serve una soluzione! E qui ci siamo perché oltre alla privatizzazione dell’allegra baracca altra soluzione non è data.
Bé, adesso smettiamola di sognare, caro Cerofolini. Le maggioranze silenziose hanno la predisposizione a essere anche oziose. Tra il loro dire e il loro fare c’è sempre di mezzo il mare. In parole povere io non ce la vedo, la maggioranza silenziosa, rateizzare compatta il canone allo scopo di affamare la bestia. Forse sarebbe più agevole un altro sciopero, quello dell’audience. La scelta, cioè, di non sintonizzarsi a oltranza sui canali Rai.

Il vertiginoso calo degli ascolti si tradurrebbe in un altrettanto vertiginoso calo degli introiti pubblicitari ciò che metterebbe alla bestia una fame da lupi. Ma anche qui, come la schioda larga parte della maggioranza silenziosa dalla ninnananna di Domenica in, dagli elettrochoc intellettuali di Il pranzo è servito?

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