«La mia battaglia per ballare oltre il Parkinson»

«Un’operazione a Zurigo mi ha cambiato la vita. Ora con la mia associazione do sostegno ai malati»

Stava mangiando un piatto di spaghetti quando ha avvertito il primo disturbo. Pranzava come sempre con il marito e il bambino Lucilla, «ma quel giorno per la prima volta mi sono accorta di non riuscire ad avvolgere bene la pasta intorno alla forchetta», ricorda ancora, 22 anni dopo.
Era il 1986 e Lucilla Bossi aveva da poco riposto nella scatola dei ricordi le scarpette con la punta di gesso. «Volevo farmi una famiglia, così ho deciso di dare un taglio netto con la mia vita da ballerina». Duri allenamenti, dieta rigorosa, ma nonostante i sacrifici Lucilla sorride quando ricorda i suoi anni alla Scala. «Ero una bambina quando sono entrata e non è stato facile decidermi a lasciare la danza dopo 16 anni» trascorsi su e giù dal palco del Piermarini, sempre con la valigia in mano, pronta per andare in tournée. «Non ero mica la Fracci - scherza giocherellando con la sciarpina color glicine, abbinata al tailleur in shantung - comunque ogni tanto ballo ancora, solo per me, nonostante tutto». Nonostante il Parkinson, quella malattia che colpisce il sistema nervoso centrale, andando incontro ad un processo degenerativo.
Prima gli spaghetti, poi le chiavi «ma io ho continuato a fare lo struzzo e quando nel 1988 mi hanno fatto la prima diagnosi ventilata, ho fatto finta di niente e non ho mai assunto il farmaco che mi avevano prescritto». Ci sono voluti cinque anni prima che si decidesse e poi apparentemente tutto è tornato come prima. Una breve parentesi senza effetti collaterali che presto sono arrivati a farsi sentire: «Non provavo dolore, ma la mia eleganza nei movimenti si era trasformata in goffaggine. Non avevo problemi nelle azioni volontarie, ma quelle automatiche invece, non erano più tali». Già allora però, Lucilla era convinta che ce l’avrebbe fatta, che alla fine, avrebbe vinto lei contro la malattia. «Per questo ho deciso di fondare dei gruppi di sostegno: per trasmettere anche agli altri malati la mia positività».
La svolta è del 1997, quando «inciampai su una persona che mi ha cambiato la vita». Amica di una amica, era pomeriggio e stavano bevendo il te insieme, «sapevo che anche lei aveva il Parkinson e rimasi incantata dalla perfezione dei suoi movimenti mentre portava la tazza dal piattino alla sua bocca». Il suo segreto veniva da Zurigo, dove un chirurgo le aveva inserito due pace maker con due elettrodi nel sub talamo e una batteria sotto la clavicola capace di lanciare impulsi al cervello. «Sono corsa a farmi operare ed è cambiato tutto. Dall’entusiasmo ho deciso di fondare l’associazione “Parkinson Milano” con uno scopo preciso: dare sostegno ai malati». Meno medicine e più autonomia senza dover più aspettare l’effetto del farmaco prima di uscire di casa, con l’incubo che finisse nel momento sbagliato. «Non ho mai accettato che la malattia fermasse la mia vita, così l’handicap si è trasformato in una straordinaria possibilità di crescita personale e umana».
Dopo 22 anni, la battaglia di Lucilla non si è fermata. Al contrario, ora che è a capo del consiglio direttivo della Confederazione delle associazioni italiane Parkinson, continua a progettare attività per aiutare i malati.

«Dopo l’operazione mi ero dimenticata di stare male - ammette - ora invece, comincio a peggiorare un po’, ma non mollo di certo». E il motivo è quello che ha sempre raccontato a suo figlio, per sdrammatizzare: «Mamma ha una malattia grave, a volte mi fa stare molto male, ma non mi porta via da te».

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