Cortona - Anthony Hopkins, icona del cinema, confessa che il set e il teatro, in realtà, sono un incidente di percorso. Lo dice con la serenità di chi ha comunque la chiara percezione di aver fatto centro, pur seguendo un percorso diverso da quello pensato in partenza. Lo spiega con il sorriso sulle labbra e l’entusiasmo genuino che spazzano via dalla nostra testa il viso di ghiaccio di Hannibal Lecter, lo psichiatra assassino del Silenzio degli Innocenti, il ruolo che lo ha incoronato stella delle stelle. Hopkins tende a far scomparire gli occhi dietro la falda del Panama quando lo si invita a parlare di cinema, glissa sul film che sta girando a Londra diretto da Woody Allen, se la sbriga con un: «Mi aspetta il tipico ruolo alla Allen». Perché lui è a Cortona per parlare di musica, e si ravviva, si alza e pure gesticola nello spiegarci che fanciullo sognava di fare il pianista o il compositore, o tutti e due. Però era un bimbo indocile, dagli scarsi successi scolastici, non proprio disposto a spendere ore al pianoforte, ecco il «ripiego» su teatro e cinema. Hopkins è venuto sul luogo del delitto per svelare e far conoscere la sua seconda identità artistica. È giunto a Cortona, a un palmo da quella Firenze dove dieci anni fa girò alcune scene di Hannibal, uno dei seguiti del famigerato Silenzio. Così, capita che sue musiche aprano, stasera, il Tuscan Sun Festival, la rassegna che ogni anno gioca la carta dell’effetto speciale invitando un divo di Hollywood, la scorsa estate fu la volta di Robert Redford impegnato nella lettura di poesie. E mentre al Teatro Signorelli, oggi e venerdì, i Sinfonici del Maggio Musicale Fiorentino eseguono Winter’s Waltz e August di Hopkins, a Palazzo Casali si ospita la collezione di quadri Masques. Sempre di Hopkins, artista totale, dunque.
Come ha influito la passione musicale sulla sua identità d’attore?
«La musica è sempre stata viva in me, a sei anni iniziai a suonare il pianoforte. I brani che ascolterete in questi giorni li ho scritti a partire dal 2003, ma turbinavano nella mia mente da cinquant’anni almeno».
Perché solo ora s’è deciso a mettere nero su bianco questi suoni?
«Devo tutto, anche la decisione di riprendere a dipingere, a mia moglie Stella. Nel 2003, quando ci siamo sposati, mi chiese di dipingere settanta quadri per altrettanti ospiti del nostro matrimonio».
E cosa ci dice dell’Hopkins musicista?
«Le dico semplicemente che desidero che la mia vita diventi musica. Non ho scritto molto fino a ora, cinque o sei pezzi in tutto, ma intendo comporne altri, voglio continuare questo filone».
Che cosa le dicono i musicisti di lungo corso? Non teme critiche per questa sua «invasione di campo»?
«So perfettamente di non suonare bene (possiede il pianoforte che fu di Sinatra ndr). Però la musica mi commuove, mi fa star bene. Sono diventato un attore di successo, così mi prendo la libertà di fare ciò che consente di esprimere il mio essere: e questo è la musica».
Recita, compone, dipinge. È un artista totale...
«E lo devo alla sensazione che mi tormentava da piccolo, avvertivo di non essere all’altezza delle situazioni. Così, per combattere, sono diventato artista».
E grazie alla moglie Stella ha chiuso il cerchio...
«Lei è esperta d’arte, quindi a maggior ragione mi ha stimolato a tirar fuori il magma che avevo dentro da anni. Nella vita bisogna avere il coraggio di fare ciò in cui si crede, senza preoccuparsi del risultato, a quel punto, come diceva Picasso, si generano in noi nuove forze».
I suoi ritratti sono segnati da occhi smisurati, spesso inquietanti. Occhi alla Picasso.
«Sono visi che emergono dalla mia profondità, dalla mia infanzia, dall’ossessione che ho sempre avuto per gli occhi e gli sguardi».
Nelle sue composizioni, invece, si avverte qualcosa di onirico...
«Da sempre ho la sensazione che nulla è reale, tutto è un sogno. La stessa mia vita è stata un susseguirsi di miracoli».
E i demoni dove li mettiamo?
«No. Non ci sono demoni nella mia vita».
Parola di Hannibal.
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