Perdere e trovare l’accesso diretto alla Champions league attraverso il terzo posto, diventato aritmetico. La contraddizione del Milan è lo specchio dei suoi tempi recentissimi fatti di contrasti forti, scarse attese per via di un mercato ridotto all’osso e buoni risultati, prove spettacolari e cadute rovinose, chiuse da un finale deludente, non sempre giustificato dal gran numero di infortuni.
«Abbiamo raggiunto l’obiettivo minimo» il sigillo sincero apposto da Adriano Galliani rinfrancato solo dal rigore di Miccoli a Palermo piuttosto che dall’esibizione di Genova. Perdere (anche) dal Genoa (ottava sconfitta da mettere in fila, troppe per ambire ad altre posizioni di classifica) e guadagnare contestualmente il terzo posto è la contraddizione finale patita nel deserto di Marassi dove un Milan brutto e in disarmo, lento e macchinoso nel gioco, è riuscito a farsi mettere sotto (gol di Sculli e traversa timbrata da Acquafresca) da un Genoa appena dignitoso senza riuscire a rialzare la testa con un dignitoso pareggio. Soltanto sfiorato, e ripetutamente, da Borriello (rovesciata spettacolare e sinistro sbilenco su assist mirabile di Ronaldinho nella ripresa) oltre che da Huntelaar (gol di testa mancato a porta spalancata) dopo il gol annullato a Pato nella prima frazione (fuorigioco di centimetri).
Prima di scoprire il futuro del Milan, è il caso di prendere atto di alcune prove non proprio incoraggianti e che possono spiegare questa squadra così male in arnese, lenta, lentissima, su un prato pieno d’acqua e di insidie e perciò alla fine poco incline a incoraggiare piani ambiziosi per la prossima stagione. Viene il magone a vedere Gattuso rammendare un gioco sfilacciato, vengono i brividi a seguire Seedorf subentrato nella ripresa passeggiare in punta di piedi come la Wandissima, viene male al cuore nel segnalare il ritardo di condizione di Pato o i “buchi” che si aprono nella tela di Dida. E più che interrogarsi sull’identità del prossimo inquilino della panchina milanista, è forse indispensabile prendere di petto i deficit del gruppo che attengono anche alle cosiddette forze fresche, per esempio Abate e Antonini, buoni per tappare qualche falla non certo per far spiccare il volo.
Pensare che siano sufficienti solo qualche ritocco per rendere più competitivo il gruppo, appesantito da un altro anno e col mondiale nelle gambe, è un errore di calcolo che può costare caro. Spendere come ai vecchi tempi è impensabile, ma vivere di conserva nemmeno. Svecchiare è il primo argomento iscritto all’odg e le partenze di Dida, Favalli (fine contratto) più le cessioni di Oddo e Kaladze, forse Jankulovski sono il proposito dichiarato di Galliani e Braida. Il nodo resta quello dell’allenatore ma si tratta di un falso problema perchè un tecnico diverso da Leonardo può aggiungere o togliere qualcosa all’attuale performance rossonera non cambiargli il destino. Per ambire a traguardi più prestigiosi servono alcune garanzie: il rendimento di Ronaldinho, la salute di Pato e Nesta, l’arrivo di un qualche centrocampista di lotta e di governo che dia il cambio a Gattuso, Ambrosini e Pirlo e risulti più affidabile di Flamini, troppo fumantino per meritare più spazio.
Leonardo e Galliani han promesso di definire lo scenario della panchina milanista alla fine della prossima settimana, in occasione del rompete le righe che seguirà alla sfida con la Juventus. «La migliore forma di rispetto è preparare con serietà questa partita. In fondo sono una piccola pedina» la frase con cui il tecnico brasiliano ha respinto il pressing di cronisti, televisivi e no, pronti a chiedere l’annuncio ufficiale del divorzio da Berlusconi.
C’è allora una settimana di tempo per ricucire il rapporto o arrendersi al carattere permaloso di Leonardo e procedere al cambio della guardia. Che non può prescindere dal seguente bivio: Van Basten da una parte, Galli con Tassotti dall’altra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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