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«Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Credimi, amico, quella Casa è veramente l’opera mia più bella».
Così scrive Giuseppe Verdi in una lettera a Giulio Monteverde. E ancora oggi, entrando in Casa Verdi, si comprende bene l’orgoglio del maestro, che a questo progetto dedicò gli ultimi due anni della sua vita. Al grande operista, massimo interprete del panorama culturale milanese di fine Ottocento, dove trascorse gran parte della sua lunga vita, è dedicato l’itinerario «Va’ pensiero... sulle note di Verdi», organizzato per questo fine settimana dall’associazione culturale Neiade (prenotazione obbligatoria allo 02-36565694, 393-9440207).
Nato nel 1813 a Roncole, vicino a Busseto, da un oste e da una filatrice, il giovane Verdi si trasferì a Milano nel 1832, ed è qui che prese forma il suo percorso artistico e professionale, influenzato dall’ambiente teatrale milanese, di impronta austriaca, che gli fece conoscere dapprima i classici viennesi, soprattutto il quartetto d’archi, e quindi il repertorio operistico contemporaneo, al quale dedicò gran parte della sua carriera. I rapporti con la città, però, furono tutt’altro che semplici: dall’impatto negativo al Conservatorio, oggi a lui dedicato, dove fu respinto nel 1832 per aver superato i limiti di età, all’insuccesso della sua prima opera buffa, «Un giorno di regno», rappresentata una sola volta sul palcoscenico della Scala. Episodi sporadici, ampiamente compensati dal trionfo scaligero di opere come l’ «Otello», «Giovanna d’Arco», «Nabucco» e il suo «Va’ Pensiero» (che finì col diventare l’inno lombardo contro l’occupazione austriaca), oltre che dall’ultimo, affettuoso saluto dei milanesi che in più di centomila accorsero al suo funerale, in silenzio «e senza sfarzo» così come l’autore dell’Aida aveva chiesto. Le spoglie, insieme a quelle della moglie, Giuseppina Strepponi, sono oggi conservate nella «Casa di riposo per musicisti» di via Buonarroti, meglio nota come Casa Verdi, fondata dal musicista nel 1899 su progetto di Camillo Boito, come luogo di riposo per gli artisti dopo una vita dedicata alla musica. Qui sono conservate le sue collezioni d’arte (tra cui il celebre ritratto di Giovanni Boldini del 1886), gli arredi che componevano l’appartamento di Palazzo Doria a Genova, acquistati a Parigi negli anni 1860-70 e impreziositi con le iniziali GV; e poi gli abiti, un’ampia selezione di cappelli (che recano l'etichetta della «Cappelleria Antonio Ponzone» di Milano, fornitrice anche della casa reale) e tutti i suoi cimeli, tra cui la famosa «spinetta» del 1560 (il primo strumento su cui si esercitò da adolescente) con la scritta del cembalaro Cavalletti che la restaurò nel 1821, gratuitamente, «vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi d'imparare a suonare questo istrumento».
Da Casa Verdi partirà l’itinerario di domani (il ritrovo é alle 11 in piazza Buonarroti, con la visita alla casa di riposo e alle sale museali), che proseguirà domenica, ore 15, attraverso il centro storico passando per il Conservatorio, il Teatro alla Scala e la sede dell’Hotel et de Milan di via Manzoni.

È in questo edificio dall’eclettica facciata e dai rimandi neo-gotici, dove il compositore di Busseto era solito trascorrere l’inverno, che Verdi fu chiamato a gran voce dal popolo radunatosi sotto il suo balcone, nel 1887, dopo la prima dell’«Otello»; ed è qui che il musicista morirà il 27 gennaio 1901, a 87 anni, dopo una settimana di agonia. In quei giorni, ricordano le cronache dell’epoca, via Manzoni e le strade limitrofe furono cosparse di paglia, affinché «lo scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non ne disturbino il meritato riposo».

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