Bombe e rischio attentati Un allarme lungo 11 anni

Nel 2004 individuati quattro estremisti che avevano nel mirino Duomo e metrò Poi i casi di Abu Omar e della Siria

Bombe e rischio attentati Un allarme lungo 11 anni

C'è chi recluta combattenti da spedire in Siria, altri progettano attentati, altri ancora, pur maldestramente, li realizzano. Anche se rimettendoci mani, vista e udito. Sono almeno sette le cellule islamiche scoperte in Lombardia. Fermate ogni volta prima che potessero combinare guai seri. Una rete che si estende da Milano a Cremona, da Brescia e Como, fino ad arrivare a Gaggiano, dove si nascondeva un marocchino sospettato dai servizi segreti tunisini di aver partecipato all'attentato al museo Bardo, 24 morti, tra cui quattro turisti italiani.

Dunque anche in Lombardia lentamente hanno iniziato a infiltrarsi fanatici che, nel nome di Allah, cercano di colpire l'Occidente e la sua cultura «blasfema». Se ne accorsero per primi gli investigatori di Cremona che nel 2004 individuarono quattro terroristi, due marocchini e due tunisini, tra cui l'ex imam Mourad Trabelsi, 35 anni. Nei loro le fermate Centrale e Duomo della metropolitana, la questura e il Duomo di Cremona, da attaccare a suon di bombe per causare centinaia di vittime. Una sorta di «invito» per ogni buon islamico, accolto nel novembre del 2009 Mohammed Game, libico di 35 anni. L'uomo, insieme a due complici, un altro libico e un egiziano poi arrestati, preparò una rudimentale bomba a base di fertilizzanti chimici, con cui entrò alla caserma Santa Barbara. Fermato dal piantone azionò il detonatore che fortunatamente non innesco l'ordigno, ma fu sufficiente per fargli saltare le mani e causare la perdita di vista e udito. L'allora presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza Francesco Rutelli, svelò poi che la caserma era un possibile obiettivo di attentati: «Lo dimostrerebbero le conversazioni intercettate tra i due marocchini arrestati a Milano nel 2008 per attività eversive».

Qualche anno di tregua, poi si torna a parlare di estremismo islamico nel 2013, quando l'antiterrorismo arrestata a Brescia un marocchino di 21 anni e denuncia altri due nordafricani. Sono accusati di fare proselitismo per reclutare combattenti da inviare in Siria. Mentre appena un anno dopo suscita grande scalpore la rivelazione di Mohamed Yassine Mansouri, capo servizi segreti marocchini. «Abbiamo sgominato una cellula marocchina che interagiva con alcuni fiancheggiatori in Lombardia». Mansouti poi indica gli obbiettivi dei terroristi: l'immancabile Duomo di Milano, seguito dalla basiliche di Sant'Antonio a Padova e san Petronio a Bologna, già nel mirino di un gruppo di integralisti islamici, scoperto dai carabinieri del Ros nel capoluogo emiliano. Facile intuire l'interesse degli estremisti: al suo interno una grande affresco di Giovanni da Modena rappresenta Maometto all'inferno. Un drappo rosso davanti a un toro. A marzo l'ultima operazione: la procura di Brescia scopre l'ennesima cellula di reclutatori islamici, tre albanesi, uno residente in Patria, due a Torino. Avevano fatto il lavaggio del cervello a un 17enne di Como, già pronto per raggiungere la Siria per combattere con il Califfato.

In mezzo il caso Abu Omar, imam della moschea di viale Jenner, sul quale le prefiche italiane versarono fiumi di lacrime.

Nel 2003 fu rapito dai servizi segreti americani, con la complicità di quelli italiani, poi portato in Egitto, da cui non è mai tornato, e torturato per estorcergli informazioni. Una fortuna per lui, perché due mesi fa l'Appello gli ha confermato una condanna in contumacia a sei anni per terrorismo internazionale. Con buona pace di chi gridò all'ingiustizia

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