Quella dei carabinieri, vista la frequenza con cui lo stupratore seriale colpiva, a un certo punto era diventata una corsa contro il tempo. E per questo all'interno della compagnia Duomo era stata formata una «squadra antimostro», una quindicina di carabinieri che per dieci giorni hanno cercato, notte e giorno, un'ombra sfuggente. Fino all'epilogo l'11 luglio quando viene arrestato. E ora, bloccato il maniaco, le indagini prendono un'altra direzione: capire quante altre aggressioni abbia messo a segno.
Sameh el Melegy, egiziano di 28 anni, era infatti diventato un incubo per gli investigatori. La sua bicicletta nera con il parafango ad alettone, la sua «strategia di caccia» e le descrizioni avevano infatti convinto gli investigatori di avere a che fare con un «seriale». Un predatore solitario che si aggirava di notte in cerca di giovani donne da violentare e rapinare, in particolare in centro. Per questo la Duomo aveva istituito una squadra speciale, 15 carabinieri con il compito di dare la caccia solo a lui. I luoghi delle aggressioni, le ore, gli spostamenti dei cellulari delle vittime, avevano circoscritto tra il centro e corso Lodi l'area di ricerca, ma mancava ancora qualcosa. E quel qualcosa viene trovato a fine giugno quando un romeno utilizza la sim di un telefono rapinato. Bloccato dai carabinieri spiega di averla trovata in un cestino e averla utilizzata perché aveva ancora credito. Li porta sul luogo del ritrovamento e le telecamere in zona confermano la sua versione. Nelle immagini si vede distintamente un nordafricano buttare la scheda.
A questo punto la squadra antimostro ha il volto del ricercato. Nascosto però in un città di quasi un milione e mezzo di abitanti. Messe da parte indagini scientifiche, impronte digitali, tracce biologiche, intercettazioni telefoniche e ambientali, i militari devono tornare ai vecchi metodi. Partono dai luoghi delle aggressioni e a cerchi concentrici allargano le ricerche. Di giorno entrando in negozi e bar per mostrare la foto dell'uomo. Di notte per scrutare i volti dai tratti nordafricani. La caccia finisce la notte dell'11 luglio in corso Lodi, quando l'attenzione di un militare viene attirata da un bicicletta con l'alettone. Lo fermano, lo controllano ed è proprio lui.
È regolare, in Italia dal 2005 in Italia, ha piccoli precedenti per furto, ha fatto l'elettricista ma adesso campa di espedienti. «C'è la crisi» ha spiegato, e questo forse può giustificare i furti e le rapine. Non gli stupri. Il Ris ricava il suo Dna e dalla memoria centrale del ministero degli Interni spuntano, oltre alle tre per cui era sospettato, altre nove violenze sessuali. Otto negli ultimi tre mesi in centro città, una del 2009 a San Donato. Ma si tratta solo di casi in cui l'allora ignoto aggressore aveva lasciato il suo materiale organico. Ma potrebbero non essere le sole. Perciò questa settimana procura e carabinieri riapriranno i fascicoli delle violenze irrisolte, prive però di Dna.
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