Crac Ligresti, creditori appesi al Cerba

Crac Ligresti, creditori appesi al Cerba

È appesa alla decisioni della politica la speranza dei creditori del gruppo Ligresti di rivedere i loro quattrini. E al centro di questa speranza c'è il futuro della grande area a ridosso di via Ripamonti che va ormai sotto il nome di area Cerba, dal nome del grande centro di ricerca biomedica che dovrebbe sorgervi sotto l'egida di Umberto Veronesi. L'area, valorizzata dalle varianti urbanistiche che l'hanno resa edificabile, è uno dei principali beni in mano ai curatori fallimentari delle società dell'Ingegnere di Paternò, andate in default alla fine dell'anno scorso. Grossomodo, 120 dei 400 milioni di attivo del fallimento sono costituiti dall'area. Ma se i ripensamenti della politica dovessero riportare l'area - che comprende anche una fetta significativa del parco Sud - alla sua destinazione originaria, il fallimento lascerebbe a bocca asciutta molti dei creditori, perchè il valore dei terreni crollerebbe a poche centinaia di migliaia di euro.
È questo il motivo per cui in queste settimane i giudici della sezione fallimentare e il folto gruppo di curatori chiamati a chiudere i conti dell'impero di don Salvatore guardano con interesse a quanto si muove nei palazzi della politica. Gli scenari, infatti, sono cambiati parecchio. L'accordo di programma sul Cerba venne avviato in un'epoca in cui in Comune e in Regione comandava il centrodestra, e in Provincia il centrosinistra di Filippo Penati. All'epoca, a Palazzo Marino il centrosinistra avversò, anche se senza troppa convinzione, il piano, chiedendo che venissero aumentate le zone destinate a verde. Da quando Giuliano Pisapia è andato al potere, non ha mai posto all'ordine del giorno una revisione dell'accordo sul Cerba. Ma il fallimento di Ligresti e anche gli avvenimenti successivi al crac cambiano completamente lo scenario.
I primi a chiedere che il fallimento di Ligresti non fermasse il progetto Cerba erano state infatti le banche creditrici dell'Ingegnere, con in testa Unicredit e Bpm: «Si invita cortesemente il collegio dei curatori - scrivevano nel dicembre scorso - a voler rappresentare alla prossima riunione l'interesse delle banche creditrici a voler sostenere l'iniziativa» . Una iniziativa, si badi, dove le stesse banche sono robustamente presenti anche come soggetto attivo: dentro la Fondazione Cerba ci sono infatti sia Unicredit che Bpm, che si trovavano dunque interessate in duplice veste alla prosecuzione dell'iniziativa della cosiddetta «cittadella della scienza». A rendere ancora più complesso il quadro, c'era la circostanza che il credito di Unicredit e Bpm verso Immco e Sinergia, le due holding ligrestiane, era garantito da una ipoteca proprio sui terreni dell'area Cerba.
Ma negli scorsi giorni è successo qualcosa di imprevisto. I due giudici delegati nominati dal tribunale, Roberto Fontana e Filippo D'Aquino, su richiesta dei curatori, hanno quasi azzerato il credito vantato dalle banche verso il fallimento, hanno chiesto la cancellazione dell'ipoteca sui terreni, e hanno accusato esplicitamente le banche di essersi fatte dare l'ipoteca per garantire vecchi crediti precedenti, ovvero per garantirsi la cassa alle spalle degli altri creditori. Questo - oltre ad aprire uno scenario di cui potrebbe interessarsi la Procura della Repubblica - lascia le due banche con un buco di oltre duecento milioni. Come si comporteranno? Oltretutto, anche tra gli altri componenti della Fondazione c'è chi non se la passa bene, come Rcs. E anche il grande ispiratore dell'operazione, lo Ieo di Veronesi, è pesantemente esposto verso il fallimento Ligresti.

Insomma, un quadro dove la tentazione di far compiere al progetto un passo indietro, restituendo l'area al suo destino originario, potrebbe farsi largo. Senza parlare del brusco tramonto politico dell'architetto che aveva firmato il progetto, l'ex assessore Stefano Boeri.

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