«Per fare politica ci vuole un fisico bestiale». È uno dei leit motiv di Roberto Formigoni, ripetuto come un mantra a molte delle persone a lui vicine. Muscoli coltivati con jogging, nuoto e bici. E capacità di attutire i colpi, come le quattordici inchieste che lo hanno coinvolto nei diciotto anni da presidente della Regione Lombardia. Undici processi e undici assoluzioni per i motivi più disparati, dall'accusa di non aver frenato lo smog agli appalti irregolari. L'ultima, quella sulla Maugeri che lo vede indagato per corruzione e associazione a delinquere, è ancora in corso e catalizza su di sé molte delle attenzioni mediatiche.
Passa così in secondo piano un fatto storico nelle vicende della Lombardia: in questi giorni si chiude un'era, quando dire Formigoni era dire Regione, associazione di idee immediata, identificazione dell'uomo con la carica. Avverrà gradualmente la discesa dalla cima di Palazzo Lombardia, il contestato grattacielo che è la nuova sede regionale. Finché sarà commissario Expo, il presidente uscente manterrà un ufficio al trentesimo piano del Pirellone e potrà continuare ancora per un po' a guardare il mondo da quel singolare punto di vista.
Diciotto anni pieni di cose. Ottime per i sostenitori, pessime per i detrattori. Sussidiarietà è una parola chiave: lo Stato deve intervenire solo laddove i privati cittadini, le famiglie, le associazioni, non arrivano. E non il contrario. Eletto nel 1995 dal consiglio regionale, nel 1997 avvia la riforma della sanità, che consente i primi passi alla libertà di scelta tra pubblico e privato che diventerà uno dei cardini della Regione. Nel 1999 arriva la legge sulla famiglia, che introduce i primi voucher per gli anziani e i disabili che vengono curati in casa. Aprono le porte i primi nidi famiglia.
Nel 2000 la Lombardia diventa il laboratorio dell'accordo tra Casa della libertà e Lega che nel 2001 vincerà in Parlamento. Alla prima elezione diretta il 62 per cento di Formigoni travolge il ppi Mino Martinazzoli. Arriva il buono scuola: i genitori che desiderano mandare i propri figli in una scuola privata sono aiutati a sostenere la retta. Dal 2001 il riordino dei conti della Sanità diventa definitivo: niente buchi e conti in ordine.
Nel 2005 viene confermato in scioltezza alla guida della Regione, sconfiggendo l'ulivista Riccardo Sarfatti, anche se la temperie nazionale è ben diversa: il centrodestra perde tutte le Regioni tranne Lombardia e Veneto e nel 2006 perderà anche Palazzo Chigi. È l'anno dell'inaugurazione della Fiera di Rho-Pero, che per l'inaugurazione ospita il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Partono i lavori per le grandi infrastrutture: la Pedemontana, la Brescia-Bergamo-Milano, la Tangenziale est esterna di Milano, che saranno pronte per l'Expo 2015. All'inizio scettico, Formigoni si butta a capofitto nella gestione dell'Esposizione universale. Nel 2006, con il governo Prodi, chiede la devolution su dodici materie (nel 2001 c'era già stata la richiesta di autonomia su sanità, istruzione e polizia locale). Nel 2010 lancia il Fondo Nasko, che aiuta le donne in difficoltà economica a non abortire.
Non si limita all'amministrazione. Guarda a Roma e al mondo, con l'obiettivo ambizioso (qualcuno dice megalomane) di una politica internazionale della Lombardia. Gira il pianeta con enti locali e imprenditori per diffondere «le eccellenze» della Regione, firmare dichiarazioni, stringere accordi. Mostra con orgoglio foto con Tony Blair, Jose Aznar, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Lech Walesa, Michail Gorbaciov, Nelson Mandela, Arnold Scharzenegger, Kofi Annan, Tareq Aziz. Tra alti e bassi, come la vicenda Oil per food (gran clamore, nessuna inchiesta su di lui), arriva alla fine del terzo mandato.
Nel 2010 si candida per la quarta volta e sconfigge Filippo Penati. Vorrebbe restare fino al 2015, ma la Lega ha progetti diversi.
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