In Italia, nel 1946, uscì come «...E poi non rimase nessuno», titolo che, forse, ai più dirà poco. Ma basta citare il titolo che lo ha reso famoso - Dieci piccoli indiani - per capire che si tratta del giallo più venduto in assoluto, un capolavoro letterario di Agatha Christie che non conosce tramonto.
Dall'altroieri sulla scena del Teatro Carcano, un cast importante, dove si distinguono attori come Leonardo e Mattia Sbragia, Carlo Simoni, Luciano Virgilio, Alarico Salaroli, ma anche Tommaso Minniti e Pietro Bontempo e, tra le donne, oltre a Giulia Morgani e a Caterina Misasi, un'appassionata Ivana Monti, darà vita a un lavoro che terrà il pubblico con fiato sospeso, fino alla fine. «È la prima volta che affronto in scena la scrittura di Agatha Christie racconta Ivana Monti, che condivide il palcoscenico con colleghi storici e altri di diverse generazioni - e ne sono rimasta incantata per le critiche sociali che sottendono quel giudizio morale che aleggia e si sviluppa lungo tutta la vicenda».
La storia, ambientata nel 1939, racconta di dieci sconosciuti su un'isola deserta. Ognuno, nella propria stanza, trova affissa allo specchio, la poesia «Dieci piccoli indiani», una filastrocca che racconta delle morti misteriose dei dieci indiani, infondendo terrore tra i personaggi che, tra un'accusa e l'altra, giungono a una scioccante conclusione: l'assassino si nasconde tra loro.
«La storia è intrigante e piena di suspense. È un'operetta morale strutturata magistralmente dall'autrice e costruita per la scena, dal regista Ricard Reguant, in modo impeccabile: i personaggi sono sempre visibili, tutti sospettati e tutti accusatori uno dell'altro, ognuno con la propria difesa e il proprio alibi e ognuno col proprio scheletro nell'armadio. Tra colpi di scena, morti realistiche, quasi impressionanti e raccapriccianti, le scene firmate da Alessandro Chiti contribuiscono a offrire un plusvalore al progetto artistico di Gianluca Ramazzotti. Noi attori, veniamo accompagnati da atmosfere estive: siamo in agosto e ognuno dei personaggi vive nella propria verità. In un ambiente Decò, con una scalinata in marmo, la storia prende forma anche attraverso un utilizzo strategico delle luci che, secondo il progetto di Stefano Lattavo, cambiando di colore e intensità, cadenzano il passo della vicenda. Sono luci psicologiche che, oltre a rappresentare una bella base sulla quale sviluppare lo spettacolo, suggestionano noi attori».
Dieci piccoli indiani è una denuncia della società del tempo, anche se, a ben vedere, non siamo poi così lontani dalla realtà contemporanea. Vizi e virtù senza tempo, dunque.
«Il giudice con il delirio di onnipotenza, i poliziotti corrotti, il capitano convinto di essere etnicamente superiore. Io vesto i panni della zitella Emily Brent. Prima di affrontare questo ruolo, ho voluto studiare il personaggio e ne ho ricavato una mia personale interpretazione. Emily ha ricevuto una educazione vittoriana ed è espressione della borghesia; se nel romanzo lavora agli aghi per fare una sciarpa, recitando versetti sacri, l'ho attualizzata e sulla scena ne declama molti meno. È nevrotica, repressa, odia gli uomini e talvolta lancia occhiate ambigue alle ragazze.
Non cambio le parole del testo, ma cerco di offrirne una interpretazione più moderna, adatta ad un pubblico contemporaneo capace di cogliere alcuni significati, con un approccio differente. Io, verrò condannata per istigazione al suicidio: un tema, anche questo, tanto caro e attuale».
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