I suoni delle note «classiche» tra i capolavori in pinacoteca

I concerti al museo piacciono sempre di più al pubblico Oggi e domani esecuzioni nei saloni dell'Ambrosiana

S e la musica si «sposa» con il museo. Gli esempi non mancano e il pubblico sembra apprezzare sempre di più. Come a dire che le note udite e «subite» in poltroncina forse a volte stancano, chissà un po' troppo. Meglio fare due passi tra le bellezze artistiche della storia. Dunque musica al Museo del Novecento, al Pac, al Poldi Pezzoli, naturalmente nella Pinacoteca di Brera dell'Era James Bradburne. E adesso, dulcis in fundo, all'Ambrosiana in piazza Pio XI 2 a Milano.

Già, proprio così: l'appuntamento è per oggi e domani (ore 11.30 e ore 13.30) nella sala delle accademie, nell'ambito di Milano ArteMusica, ovvero il festival internazionale di antica che tiene vivo il panorama agostano cittadino. In campo i virtuosi della Civica scuola di musica «Claudio Abbado» diretta da Andrea Melis. I recital saranno anticipati da una breve introduzione alla Pinacoteca stessa a cura dei volontari di Volarte. Ma vediamo il programma della «due giorni».

Il concerto di oggi esplora il timbro del flauto lungo mezzo millennio, dal secondo Quattrocento a sessant'anni fa. Il percorso inizia con la poesia del rondeau profano di uno dei capiscuola della polifonia fiamminga, che alcuni studiosi hanno letto come emblema sonoro della malinconia: una pagina vocale che godette di gran popolarità, testimoniata dai sei manoscritti che ce la trasmettono, a tre o a quattro voci, il cui fascino melodico resta intatto nella trascrizione per la voce dei flauti. Entriamo nel secolo successivo con la brillante canzone imitativa del francese Jannequin, pubblicata in un libro di chanson del 1529 e riproposta nuovamente nel 1537, a testimonianza del successo di un'originale, personalissima traduzione onomatopeica del canto degli uccelli. Pionieristica nel panorama tedesco è la Sonata a quattro, originariamente per due flauti traversi, flauto diritto e basso continuo: data alle stampe nel 1733 da Telemann nella II serie della sua Musique de table, era stata in realtà già composta nel decennio trascorso dal compositore a Francoforte, dal 1712 al 1721, quando il flauto traverso era ancora ignoto su quella sponda del Reno. Infine, un balzo di due secoli e mezzo porta al 1959, al compositore francese Gaston Saux.

Le Nove Arie tedesche, in programma domenica, vanno annoverate tra i più interessanti autografi Händeliani a noi giunti. Composte forse negli anni Venti del XVIII secolo, riprendono alcuni testi del poeta ed amico Barthold Heinrich Brockes, l'autore della Passione musicata da Händel nel 1719.

Il tema della bellezza della natura che rimanda alla grandezza del Creatore è trattato da Händel in modo originalissimo: in queste arie non vi è infatti alcuna concessione al bel canto od al virtuosismo di matrice italiana, bensì una ricerca di meditata semplicità.

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