Luca Fazzo
Un uomo e una donna: due vigili urbani milanesi, entrambi in servizio alla Unità che si occupa di tutelare donne e minori. É grazie a loro se ieri, in Corte d'assise, arriva un risultato senza precedenti: uno degli aguzzini dei campi profughi in nord Africa, un kapò responsabile di innumerevoli stupri e torture, viene condannato all'ergastolo. É Osman Matammud, somalo, figlio di un ufficiale della polizia del dittatore Siad Barre. Scavando su Matammud, la Procura milanese ha scoperchiato gli orrori che avvenivano a migliaia di chilometri di distanza, nel campo profughi di Beni Walid, controllato dalle gang dei trafficanti di uomini. Ma questa inchiesta di respiro internazionale è viaggiata sul lavoro faticoso, sull'intuito e sulle suole di loro due, i due «ghisa» in servizio all'Unità.
Lo hanno raccontato bene, loro due, quando sono stati ascoltati in Commissione sicurezza, e hanno raccontato delle difficoltà non solo nel ricostruire l'elenco delle vittime di Matammud e nel rintracciarle, ma anche dopo, nel difficile percorso di assistenza a giovani - soprattutto femmine - che provenivano da una esperienza di orrore. «É stato difficile - hanno raccontato - perché si trattava quasi sempre di persone provenienti da situazioni di estrema povertà e a bassa istruzione, a volte completamente analfabete, costrette a superare traumi psicologicamente devastanti e a orientarsi in un contesto del tutto nuovo come quello italiano».
All'Unità lavorano una trentina di agenti, e molti di loro hanno dato un contributo a questa inchiesta. Ma il grosso del lavoro l'hanno fato loro due la coppia: fin da quando nel settembre dell'anno scorso l'Unità intervenne all'hub di via Sammartini dove due giovani vittime avevano riconosciuto il loro stupratore e cercavano di bloccarlo. Capire che non era una rissa qualunque tra stranieri, fu il primo passo.
Sette vittime vennero individuate subito. Ma tutte le altre, fino a un totale di diciotto, sono state identificate grazie al lavoro certosino dei due vigili, che prima hanno ricostruito la data dello sbarco di Matammud in Italia, e poi in base agli elenchi degli sbarcati hanno cercato le tracce degli altri ospiti del capo di Bani Walid arrivati insieme a lui in Italia, individuando le prefetture che li avevano accolti, e girandole una per una per affiggere la foto dell'aguzzino.
Così, da un capo all'altro d'Italia, da Como a Battipaglia, hanno iniziato ad arrivare riconoscimenti e segnalazioni: tutte confermate in aula nel processo che si è concluso ieri.
Dice l'assessore alla sicurezza, Carmela Rozza: «Ringrazio gli agenti che hanno seguito il caso, che sono riusciti a conquistare la fiducia dalle vittime, cosa per nulla scontata, e a raccogliere testimonianze inoppugnabili che oggi hanno portato a questa condanna».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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