«È l'età d'oro del quartetto Rock e classica, un bel mix»

Il primo violino Harrington: «Dagli Who a Gershwin, per noi mescolare è normale». Stasera suonano a MiTo

Luca Pavanel

MiTo porta anche a Milano il Kronos Quartet (David, John, Hank e Sunny) oggi in concerto dalle ore 21 al Piccolo Teatro Grassi. Sono gli alfieri di un modo più moderno di concepire il quartetto. Nella loro scaletta quattro prime italiane, tra gli altri autori scelti Gordon, Rirey, Gershwin e Reich. Il primo violino Harrington ha accettato di rispondere ad alcune domande prima del «live».

Sono passati 45 anni dal vostro inizio, c'è qualcosa che non avete sperimentato o che avere voglia di riprendere?

«C'è l'idea di focalizzare l'attenzione sui compositori più giovani, dotati di backgrounds molto diversi. Vogliamo essere d'aiuto, guidando noi stessi e il pubblico a una più ampia consapevolezza di quanto la società possegga e offra. Siamo fieri di averlo fatto in parte già a Milano e a Torino. Suonare musiche di giovani dall'Egitto, dal Mali e dal Congo, assieme a Laurie Anderson, a una nuova versione di «Strange Fruit» di Riley e a Reich, non era per nulla scontato».

Al MiTo portate un pezzo degli Who, come a dire «diavolo» (il rock) e «acqua santa» (le sonorità classiche)...

«Suonare la nostra versione delle musiche di Janis Joplin o degli Who è naturale per noi. Eseguire «Alabama» di Coltrane, che fu scritto quale risposta all'attacco del KKK nella Chiesa di Birmingam-Alabama, che portò alla morte di 3 bimbe, penso che sia la più bella risposta musicale a un atto di terrorismo. Ho la convinzione che dobbiamo suonare questo genere, ibrido; mi sembra che la cultura americana ce lo chieda».

La scelta di un autore siriano - Omar Souleyman - ha una valenza di solidarietà visto ciò che succede in quella terra?

«Per dei musicisti americani suonare musica dalla Siria, negli Stati Uniti in particolare, è una presa di posizione politica di per sé. Per me Souleyman è un grande e non voglio metterlo in una posizione che non ha cercato».

Voi siete quelli che anno ridisegnato il suono del quartetto, qual è la prossima sfida?

«Boulez negli anni '60 disse che il quartetto era morto. Per noi non lo è mai stato. È la più vibrante prova di questo è il pezzo «Blacks Angels» di Crumbs del '73. In quel periodo, forse, il quartetto era una forma desueta. Ma quel pezzo mi fece capire che dovevo suonarlo. Così ho deciso di fondare il Kronos Quartet. Poi i giovani compositori hanno iniziato a realizzare che c'era in giro un gruppo che voleva suonare al meglio le loro musiche, quindi abbiamo iniziato a coinvolgerli. Decisivo pure l'incontro con Riley, che ci ha aiutati a definire una paletta sonora nuova».

Che cosa ne pensate del quartettismo oggi?

«Questa è forse un'età d'oro e forse il Kronos ha contribuito ad avviarla. La settimana prossima saremo a Palazzo Esterhazy, dove Haydn scrisse i suoi quartetti, per lavorare con il Rolston Quartet del Canada e l'Esme Quartet della Corea del Sud, in seno al nostro progetto «50 for the future». Pensando a quello che possiamo offrire a questi interpreti, già di livello mondiale: vorremmo trasmettere loro la curiosità musicale, il desiderio di aprire continuamente le orecchie in cerca di nuovi suoni».

La prossima volta che vi vedremo da queste parti?

«Un sacco di nuove risposte a tutti gli interrogativi collegati arriveranno proprio quando torneremo. Vogliamo continuare a puntare il dito su una macchia che è rimasta, quella della schiavitù. Un fenomeno che ha coinvolto dieci milioni di persone di cui tre milioni di religione musulmana, cosa che non si dice mai abbastanza.

Sto comprendendo quanto vasta sia l'influenza della preghiera islamica nel blues americano. Non ci sono ancora evidenze scientifiche in proposito, ma verranno. E per me questa è la migliore risposta, attraverso la musica, nei confronti di chi si sente terrorizzato dalla cultura islamica».

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