L'uomo che scrisse il concerto "infinito"

Landini, dopo il recital pianistico di sette ore, punta su musica e architettura

L'uomo che scrisse il concerto "infinito"

A volte il «grande occhio» mediatico si accorge di più di un artista contemporaneo, di un compositore quando questi si fa notare con un gesto seppur involontario da guinness dei primati: nel caso del maestro Alessandro Landini, classe 1954, l'aver composto un concerto per pianoforte della durata record di sette ore. Logicamente però questi eventi - se si vuole da mettere nel capitolo dello «strano ma vero» - al netto dei contenuti creativi non testimoniano necessariamente e completamente la cifra, il mondo del personaggio che vi sta dietro. Anche se, come in questo caso, il maestro preso in considerazione vanta un lungo percorso produttivo, già riconosciuto e premiato. Comunque sia ora Landini torna sulla scena milanese con un'altra sfaccettatura, altre progettualità. Al teatro Dal Verme, nell'ambito di «Ritratto d'autore» nella stagione artisticamente diretta dal maestro Maurizio Salerno, giovedì e sabato (rispettivamente alle ore 10 e 20, e alle 17) l'autore porta davanti al pubblico la partitura di «View of the Cathedral of Wroclaw from the Odra River». Programma in collaborazione con la Gioventù musicale d'Italia che poi vira verso le terre di Schumann con il «Concerto per violoncello e orchestra in la minore op.129» e la beethoveniana «Sinfonia n.7 in La maggiore op. 92»; dirige Yusuke Kumehara l'Orchestra de I Pomeriggi musicali; solista Victor Julien-Laferrière. Due note sul lavoro di Landini e sulla «materia» che ha scelto di indagare.

L'ambito è il rapporto tra la musica e l'architettura. Una relazione che diventa fonte ispirativa. Risultato: un brano di poco più di un quarto d'ora che «prende forma da una virtuosa e solidale collaborazione fra le due arti - vien spiegato - in vista di un monumento capace di coniugare la planimetria della cattedrale di San Giovanni» con l'articolarsi del pezzo medesimo. Procedimento non molto diverso, spiega lo stesso musicista con le sue testimonianze, non troppo differente da quello di Guillaume Dufay nel 1436, quando vergò il mottetto «Nuper rosarum flores» pensando alla cupola del Brunelleschi per la cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze; e ancora: tutto ciò non molto lontano, almeno in termini di concetti, da quel che faceva il greco Iannis Xenakis, padre delle pagine del «Metastasis».

Dulcis in fundo il più recente esempio della collaborazione tra Luigi Nono e Renzo Piano che alla fine si tradusse nel «Prometeo». «Nel mio brano - conclude il maestro Alessandro Landini - ho riletto il problema a mondo mio, sperando di aver dato vita a un'architettura musicale e, come tale, abitabile». Buona scoperta, buon ascolto.

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