«La mia ex moglie è stata avvelenata e io so chi è stato»

In questi mesi le ha provate tutte. Facendo appello a svariate associazioni femministe, rivolgendosi al fior fiore dei legali italiani e persino piombando al quarto piano della Procura di Milano con modi discutibili, che molto hanno indispettito i magistrati. Ora è deciso a chiedere un'ispezione proprio a palazzo di giustizia. Sperando che chi di dovere possa accertare come vengono affrontati i casi di femminicidio. «Cioè casi di scarso livello, che non danno lustro a chi li tratta. E quindi senza alcun rispetto per i famigliari superstiti, spesso vittime di tragedie inascoltate. I magistrati milanesi con me si sono comportati in maniera disumana e incompetente». Zeno Tavaglione, 65 anni, originario di Peschici ma a Milano dal 1968 dove ha frequentato la Statale e si è laureato, si porta dentro un tormento che è un macigno. «Qualche mese fa la mia ex moglie è stata avvelenata e uccisa, e in giro c'è un assassino a piede libero» ci racconta. Ed è davvero arduo non starlo ad ascoltare.
Ma andiamo con calma. Il 17 agosto scorso l'ex consorte di Tavaglione, Emma, viene trovata morta nel proprio appartamento di via Giambellino dove abitava sola. Sono i vicini a chiamare il 115 per il cattivo odore che proviene dall'abitazione. «Non ci sentivamo da sei mesi - spiega Tavaglione -. Col passare degli anni Emma era diventata molto aggressiva e provocatoria. Io la sapevo però estremamente fragile. Così cercavo, seppur da lontano, di tenerla d'occhio». Il 23 agosto il cadavere di Emma viene sottoposto ad autopsia. All'istituto di medicina legale una dottoressa confida a Tavaglione che la ex moglie è sì deceduta per un arresto cardiocircolatorio, ma di non riuscire ancora a capirne le cause. «Chiediamo al pm un secondo accertamento» propone il medico a Tavaglione. E lui accetta, telefonando al sostituto procuratore incaricato del caso e insistendo per la necessità di un esame tossicologico sul cadavere. «Ci penso» gli risponde vago il pm.
Intanto Tavaglione - che per assicurarsi che vengano fatti questi ulteriori accertamenti manda una richiesta scritta in tal senso sia al magistrato sia al procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e al procuratore generale Manlio Minale - indaga per conto proprio. La ex moglie, che per l'autopsia sarebbe deceduta il 5 agosto, era infatti uscita 4 giorni prima dall'ospedale S. Paolo dov'era ricoverata per problemi alle gambe. Dalle sue bollette telefoniche emerge che a luglio ha parlato dal telefono fisso per circa 80 ore e sempre chiamando lo stesso numero.
«Da una serie di elementi trovati nel suo appartamento, dalle stranezza delle telefonate in uscita cancellate e dai messaggi spariti sul telefonino, risalgo infine all'ultima persona che ha visto Emma viva e ci parlo al telefono - prosegue Tavaglione -. L'uomo mi vuol far credere che la conosceva solo per ragioni professionali e che non la vedeva da mesi. Davanti all'evidenza degli elementi in mio possesso, cade però più volte in contraddizione. E quando gli faccio domande più precise riattacca».
All'inizio di ottobre e dopo gli esami tossicologici la Procura rifiuta il permesso per la sepoltura e la cremazione del cadavere e apre un provvedimento giudiziario sulla vicenda. Tavaglione viene così convocato dai carabinieri come persona informata sui fatti e spiega di aver parlato con l'uomo che secondo lui avrebbe eliminato Emma. Aggiungendo che dal cadavere della donna non solo erano spariti sia la fede nuziale sia un dente d'oro, ma che dal suo conto corrente era scomparsa anche una consistente somma di denaro.
Solo il 5 dicembre il tribunale dà il permesso per la sepoltura e, qualche giorno dopo, anche per la cremazione.

È allora che Tavaglione ha una forte delusione: viene a sapere infatti che il fascicolo riguardante la moglie sta per passare al gip con una richiesta di archiviazione. «Farò opposizione: c'è un assassino a piede libero e a Palazzo di giustizia ne devono pur tener conto!» tuona. Ma la Procura di Milano, intanto, resta silenziosamente arroccata alle proprie posizioni.

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