Cronaca locale

Negli anni Sessanta con i «cugini» di Piero Manzoni

Negli anni Sessanta con i «cugini» di Piero Manzoni

Eccoli, i «fratelli» di Piero Manzoni, e c'è anche qualche «sorella» a dire il vero. Sono i «Nati nei ‘30», come recita il titolo della mostra che apre oggi alla Permanente di Milano e che raccoglie in un'unica esposizione i protagonisti dell'effervescente stagione degli anni Sessanta all'ombra della Madonnina. Elena Pontiggia e Cristina Casero curano una mostra (fino al 15 giugno, catalogo Skira) che andrebbe visitata dopo aver visto quella di Piero Manzoni a Palazzo Reale, poiché propone una mappa della generazione di artisti milanesi, di nascita o d'adozione, nati tra il 1930 e il 1939, che respirarono un po' la stessa aria dell'enfant terrible dell'arte italiana.
«Manzoni ha fatto tabula rasa della tradizione espressiva precedente: nella mostra si testimonia come altri artisti, ciascuno secondo la sua strada, abbiano digerito questa importante novità», spiega Cristina Casero. Che cosa avevano in comune creativi così diversi come Castellani, Dadamaino, Colombo, Pericoli, Adami? Erano tutti nati sotto il fascismo, cresciuti con la voglia di rivalsa degli anni Cinquanta, nutriti a Brera dalle lezioni di Funi, Carrà, Carpi, affascinati da maestri quali Lucio Fontana e Bruno Munari, accomunati dalla difficoltà di trovare un gallerista che credesse nel loro talento e un pubblico pronto a percepire le novità.
Ecco allora che il percorso dell'esposizione, allestita con eleganza da Massimo Negri, si apre sulle opere di Sergio Dangelo (che mercoledì 14 maggio, alle 17, incontrerà il pubblico insieme ad Elena Pontiggia) e prosegue con i lavori monocromi di Enrico Castellani e di Dadamaino: c'è anche un «Achrome» firmato Piero Manzoni e datato 1962 perché quello è il momento in cui «Azimuth»¸ la celebre rivista, giocava a scompigliare le carte. Il percorso prosegue con alcuni degli esponenti dell'arte programmata, tra cui due bei lavori di Grazia Varisco, con la poesia visiva di Isgrò, con l'arte cinetica (curioso il lavoro sulla sabbia che si muove sulla superficie magnetica ideato da Davide Boriani) e il gruppo del Cenobio.
All'interno di piccole nicchie sono valorizzate anche alcune sculture, come quelle di Pomodoro e Fabro, e una sezione a parte, oltre a quella sulla Pop Art dove spicca il tratto netto e coloratissimo di Valerio Adami, è dedicata ai cosiddetti ‘cani sciolti', cioè a quegli artisti, come Tullio Pericoli o le brave Federica Galli e Gabriella Benedini, che coltivarono poi strade a sé rispetto la temperie artistica dell'epoca.
Giunte dai depositi della Permanente, da collezioni private o prestate dagli stessi artisti, le opere in mostra sono molto diverse tra loro: unico comun denominatore è il rifiuto dell'omologazione, la voglia di sperimentare nuove vie, la tensione verso un'arte nuova.

Questa era Milano negli anni Sessanta: che cosa ne è rimasto? La Permanente propone una serie di incontri di approfondimento: si comincia lunedì 14 (ore 18), con una tavola rotonda istituzionale – presenti Giulio Gallera, presidente della Permanente, Filippo del Corno, Novo Umberto Maerna e Cristina Cappellini, assessori alla Cultura di Comune, Provincia e Regione – sul tema «Milano è ancora culla della creatività?».

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