Compito di fine anno per i milanesi ansiosi di capire. Salire in auto, imboccare via Ripamonti, dirigersi verso Opera, arrivare all'altezza dello Ieo. Scendere. Guardare verso oriente, alle spalle di quel luogo di dolore e di speranza che è l'istituto di oncologia. E decidere: siamo davanti a un polmone verde, a un'oasi agricola meritevole di essere preservata? O a una landa spelacchiata, giusta destinazione di una struttura medica di avanguardia?
Alla fine, la tempesta politico-finanziario-giudiziaria scatenata dalla decisione della giunta di affossare (chiacchiere a parte, come quelle di ieri di Lucia De Cesaris: di affossamento si tratta) il Centro di ricerca biomedica avanzata, ovvero Cerba, che doveva sorgere su questa area è tutta qui. Poiché alle casse pubbliche non sarebbe costato un euro e anzi avrebbe portato qualche decina di milioni di contante, il calcolo dei pro e dei contro è presto fatto. Certo, ci sono quei quattrocento appartamenti che i nuovi titolari dell'area (ovvero le banche, Unicredit in testa) hanno aggiunto al progetto, a gettare sul progetto l'ombra infamante della speculazione. Anche se un pensiero compassionevole andrebbe rivolto alle quattrocento famiglie disposte a trasferirsi in questo nulla con vista sul supercarcere.
Salvatore Ligresti è un imprenditore e certo non un benefattore dell'umanità, né lo sono i suoi successori. Sui loro tornaconti passati e presenti nell'operazione Cerba si potrebbe discutere a lungo.
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