La resa dei conti nel Pd dopo la batosta alle urne

Renziani, martiniani, franceschiniani, donne Le assemblee sembrano sedute di psicoterapia

La resa dei conti nel Pd dopo la batosta alle urne

Sale piene nelle riunioni di corrente non se ne vedevano da tempo. E questo per chi partecipa è un buon segno. Qualcuno dice «perché nel partito si comincia a respirare», altri semplicemente perché nei momenti difficili «si vuole tornare ad aiutare». Sta di fatto che dopo il voto in ogni circolo Pd sono ricominciate le riunioni per l'analisi della sconfitta che hanno però il fine non nascosto di riorganizzare i rapporti di forza. E anche sul territorio milanese le componenti democratiche ribollono per creare spazi.

I primi a prendere l'iniziativa sono stati i «martiniani», ancora prima che il loro leader Maurizio Martina, da reggente, decidesse di candidarsi alla segreteria, in vista dell'assemblea del partito. Riunione a porte rigorosamente chiuse quella dell'associazione «Futura» presso la sede regionale del Pd in un freddo sabato mattina di metà marzo: una settantina di persone e qualche big. In primis chi ha convocato la «corrente»: il deputato milanese Matteo Mauri, rieletto nel collegio che comprende alcuni importanti comuni dell'hinterland da Arese a San Donato, passando per Sesto San Giovanni (comune di recente rubato dal centrodestra). Sostanzialmente una platea che qualche anno fa si sarebbe definita di «penatiani», ovvero legati all'ex presidente della Provincia Filippo Penati. Spiccava la presenza della neoletta consigliera regionale, ex assessore alla sicurezza del Comune, Carmela Rozza che ha così incardinato politicamente la sua carriera nel partito. Molti i semplici iscritti o consiglieri e capigruppo della provincia, alcuni dei quali in cerca di risposte in vista delle amministrative di primavera.

Poi è stata la volta dei franceschiniani (AreaDem) che a Milano fanno riferimento al consigliere regionale Carlo Borghetti e al senatore Franco Mirabelli. In questa occasione, dicono i ben informati, si è trattato piuttosto di una seduta di psicoterapia collettiva per elaborare il 4 marzo. In questo caso tra i big c'era anche qualche escluso di lusso, come la relatrice della legge sul testamento biologico - una delle bandiere dem dell'ultima legislatura - Emilia De Biasi, non rieletta perché vittima del gioco delle liste: è stata infatti candidata solo all'uninominale (dunque senza il paracadute del proporzionale) in un collegio che non era il suo. A Milano Sud infatti, il suo feudo, il partito ha preferito posizionare la new entry Mattia Mor, non senza qualche mal di pancia. Una chicca: gli uni e gli altri hanno voluto fra i partecipanti i democratici della corrente LabDem di Gianni Pittella che anche a Milano conta qualche rappresentante, nello specifico di provenienza socialista. Le due riunioni hanno rispecchiato il sentiment dei livelli più alti del partito: la pozione è di attesa.

Veniamo ai renziani. Già prima di Pasqua la corrente maggioritaria aveva trovato il cavallo su cui puntare: Matteo Richetti. Fedelissimo ma anche, a suo dire, sincero critico del leader, ha di fatto lanciato la sua corsa alla segreteria con una riunione che si è tenuta a Roma e a cui è stato dato il nome esotico di «Harambee» (parola che in lingua swahili significa più o meno «lavorare insieme»). Molti i posti in treno prenotati da Milano, fra i quali quello dell'assessore ai trasporti Marco Granelli (di estrazione cattolica). A parteciparvi soprattutto le seconde file dei renziani che con il motto «la porta della democrazia si apre con la speranza», hanno chiesto nuove primarie.

Parlando della partita più importante, quella del governo, nelle riunioni di corrente più pacate la linea dell'opposizione dura ha fatto sentire però qualche scricchiolio. Fare da spalla a un candidato presidenziale? Possibile solo se davvero tutti ci stanno. Lo spettro, evocato dai martiniani, è la possibilità che un accordo gialloverde riesca e che si arrivi a una nuova legge elettorale fortemente maggioritaria: ovvero alla fine irreversibile del Pd. Opposizione dunque, ma con responsabilità.

Quanto all'assemblea convocata per il 21 aprile e poi rinviata a data da detinarsi, sembra che tutti siano intenzionati ad arrivare preparati e già organizzati. Le scaramucce cominciano adesso per una partita apparentemente di poco conto: il rinnovamento del coordinamento delle Donne Dem. La classica amichevole dove si provando i posizionamenti in vista dell'invio dei delegati a Roma. In gioco ci sono i rapporti di forza anche sul territorio milanese. Perché sì, il Pd ha retto in città, ma Milano città-Stato è una fortezza assediata dai nemici e completamente circondata. La sinistra - dopo le amministrative di giugno - rischia seriamente di andare in minoranza in Città metropolitana, causando non pochi danni anche al sindaco di Milano Giuseppe Sala che porta sulle sue spalle anche l'istituzione nata dalle ceneri della Provincia.

A proposito di Sala, la metamorfosi da manager a politico è ormai compiuta. Poco prima di Pasqua ha convocato il collega bergamasco Giorgio Gori a Palazzo Marino.

In quella fase Sala si era detto soddisfatto che Gori prolungasse per qualche tempo la sua permanenza al Pirellone, nella speranza di un traghettamento comune per gestire il rapporto con il neoeletto governatore leghista Attilio Fontana e anche il problema di una Milano che rischia di rimanere isolata. Speranze svanite con la decisione di Gori che torna a Palazzo Frizzoni oer amministrare la sua città. Sotto il cielo, diceva l'adagio, c'è grande confusione.

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