La samba rock di Santana contro paura e solitudine

Il chitarrista messicano torna coi suoi classici e le melodie dell'ultimo album uscito ad aprile

Antonio Lodetti

Sabato 16 agosto 1969, Woodstock. Un gruppo di giovanissimi musicisti messicani, o meglio chicani, attendono con apprensione e impudenza di salire sul palco davanti a mezzo milione di persone. Guadagneranno 2500 dollari; noccioline davanti ai 30mila che riceverà Jimi Hendrix, ma una cifra da capogiro per quei ragazzi che arrivavano dalle strade senza speranza di Tijuana e per il loro leader: l'ex lavapiatti Carlos Santana. Fu uno show irresistibile e inatteso quello della Carlos Santana Blues Band, che attendeva l'ora X alle 20 ma a causa dell'alluvione sul Festival furono sbattuti sul palco alle 14.30. Fu il battesimo del fuoco: la colossale potenza del rock accanto al furore e al colorismo dei ritmi latini. Carlos, quasi nascosto alla vista e con un lancinante mal di stomaco, scarica tutte le vibrazioni della sua Gibson rossa sul pubblico. Sale sul palco da (semi)sconosciuto e dopo l'inno Soul Sacrifice ne scende da eroe del rock. Oggi i concerti di Santana non hanno la potenza dell'epoca ma vantano un'energia, un entusiasmo, una carica vitale come pochi altri nel circo del rock, e non farà eccezione lo show di stasera alla Forum Summer Arena.

Lui è un grande, chitarrista dal virtuosismo inarrivabile ma anche dal suono unico e riconoscibile tra mille. Carlos è sempre un'affascinante groviglio di contraddizioni che intrattiene un rapporto magico e flessibile col rock duro e i ritmi sudamericani, con la ruvidità del blues e il birignao melodico, con la qualità e il tocco commerciale (in senso positivo) di classici come Samba pa ti o Europa. Ha il dono di trasformare in oro tutto quello che tocca, se si pensa che all'epoca di Woodstock molti dei suoi fan di oggi non erano neppure nati, e sa far impazzire il pubblico con dischi impeccabilmente confezionati e «furbi» come Supernatural che nel 1999 ha venduto la bellezza di 21 milioni di copie. (Del resto il suo repertorio è costellato di episodi duri e violenti come Incident at Neshabur o Black Magic Woman, stravolta rilettura del classico di Peter Green ma anche di canzoncine da classfifica come Maria Maria e Corazon espinado).

Santana - uno che quando viaggia per concerti usa lo pseudonimo di Salvador Ryan o quello del glorioso bluesman Charley Patton - ha un segreto, non è mai cambiato dentro, soprattutto da quando ha abbracciato la religione e come allievo del guru Sri Chinmoy è diventato «Devadip» Carlos Santana. «La musica mi aiuta - dice - e spero che attraverso me aiuti gli altri a entrare in una nuova dimensione. La condanna dell'uomo è la paura e la solitudine, e io credo che le canzoni siano una specie di comunione, un modo di condividere le emozioni e scacciare l'incubo dello stare soli. Ci aiutano ad avvicinarci a Dio, o all'essere supremo comunque lo si voglia chiamare; ci portano ad avvicinarci alla perfezione».

Il blues è il suo faro illuminante ma Carlos lo sa adattare agli artisti con cui ha collaborato, dai re del jazz John McLaughlin e Wayne Shorter ai duetti con Shakira («una che sa come interpretare la musica latina») e Tina Turner.

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