Il dialetto milanese è la ricercatezza che strappa la risata, ma parlano italiano tanti momenti che toccano il cuore. «Quanta gente che vien dentro tutti i giorni. Sempre di più» dice Luigi, scalpellino. Risponde Antonio, muratore: «Mah. Turisti forse. Quelli sì. Ma gli altri... era diverso qualche anno fa. C'era più senso religioso, come dire». Sulle terrazze del Duomo, dove il tramonto si è appena spento sulla prima dello spettacolo « Lungh ‘me la Fabrica del Domm », tutti aspettano di ascoltare la storia della cattedrale. Quand'ecco che il passato raggiunge il presente, nei testi di Angela Demattè, recitati sotto la regia di Andrea Chiodi.
Già, perché i tanti turisti e i pochi fedeli suonano come un richiamo, triste, accorato, ma senza rimprovero, alle lunghe code per comprare il biglietto d'ingresso a due euro, quei serpentoni che scoraggiano chi desidera andare a pregare o ad accendere una candela, che poi spesso è un po' la stessa cosa. Appaiono altri tempi, altre file e non per pagare un biglietto. «C'era tutta quella gente in coda per lasciare le offerte» dice Caterina, dolcemente devota alla Madonna. Offerte e preghiere hanno tirato su e mantenuto bello questo «duomo pazzesco coperto di pizzi», come canta la canzone. Nostalgia di tempi perduti.
Arriva in scena la strage del 12 dicembre 1969. «C'era un via vai di gente che veniva a pregare... quando hanno messo la bomba in piazza Fontana, per dire, al funerale... non sai che roba che c'era. L'ho sentita, io, la bomba».
E Antonio: «Da lì poi è cominciato un periodo mica bello a Milano. Però il Duomo sempre pieno di gente... quando han sequestrato il Moro per dire, tutte 'ste persone, avanti e indietro, a pregare». Oggi tanti turisti. Ma gli altri? «Era diverso, qualche anno fa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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