Tutto bloccato: la riorganizzazione delle sezioni giudicanti, la assegnazione delle competenze, le nomine dei giudici. In tribunale uno scontro frontale tra i capi degli uffici e all'interno delle correnti delle toghe paralizza i piani di aggiornamento delle attività. A innescare lo scontro, un tema delicato: il diritto delle giudici-mamme a vedersi sollevare dagli impegni più difficili da conciliare con il loro ruolo domestico. Il singolo caso di una magistrata ha diviso in due il Consiglio giudiziario, l'organo locale di autogoverno. E a sbrigare la rogna dovrà ora essere il Consiglio superiore della magistratura. Nel frattempo, tutto fermo.
A rivendicare il diritto a un trattamento di riguardo è stata Natalia Imarisio, giudice per le indagini preliminari. In base alle norme, essendo madre da poco, avrebbe diritto non a lavorare di meno, ma a lavorare diversamente: fare meno turni, meno provvedimenti urgenti, e dedicarsi soprattutto alle richieste di ordini di cattura avanzate dalla Procura. La Imarisio chiedeva però che questo diritto le venisse riconosciuto d'ufficio, senza bisogno di presentare una domanda. Apparentemente un dettaglio, una questione di principio, che però - nelle complesse dinamiche tra giudici - è risultato irrisolvibile.
Il superiore diretto della Imarisio ha girato la palla al presidente del Tribunale, Roberto Bichi: che a sua volta ha cercato una mediazione proponendo una interpretazione delle norme che salvasse capra e cavoli. Quando la grana è approdata sul tavolo del Consiglio giudiziario, la spaccatura si è fatta frontale. Con la Imarisio si sono schierati i giudici «centristi» di Unicost, i rappresentanti dell'Ordine degli avvocati e soprattutto il presidente della Corte d'appello, Marina Tavassi. Contro, sia la corrente moderata di Magistratura indipendente e, a sorpresa, quella progressista di Area: il gruppone di cui fa parte Magistratura democratica, le toghe di sinistra che dei diritti delle donne in toga hanno sempre fatto uno dei loro cavalli di battaglia. Al presidente Roberto Bichi è stato chiesto di congelare la questione delle giudici-mamma, e di procedere con il resto del progetto di riorganizzazione del tribunale, rendendolo operativo. Bichi si è rifiutato: o tutto o niente. E il progetto si è arenato.
I toni accesi della discussione si sono tradotti nella spaccatura sul voto finale e in una serie di comunicati contrapposti.
A rendere la questione incandescente non c'è solo la questione delicata dei carichi di lavoro, che molti giudici considerano già oggi eccessivi e che vengono inevitabilmente aggravati dagli alleggerimenti concessi ad alcuni: il guaio è che tra poche settimane scatterà la campagna per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura. Vecchie appartenenze ideologiche sono in crisi, la competizione tra correnti si sposta dai grandi ideali ai bisogni concreti: e anche il caso del giudice-mamma diventa elemento di questa aspra gara.
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