La scuola sospende i teppisti: giudici e genitori li assolvono

In fondo, poteva sembrare persino banale. Una bravata a scuola pagata da alcuni ragazzi con un paio di giorni di sospensione. E invece no, non è affatto banale. Perché quello che da sempre accade nelle aule e tra i banchi, nel Paese della giustizia ipertrofica diventa «diseducativo». E a farla franca sono proprio gli alunni indisciplinati, graziati da un tribunale chiamato a pronunciarsi su vicende di minima rilevanza da genitori incapaci di dare una formazione ai figli.
Accade nel gennaio scorso a Garbagnate Milanese, all'istituto comprensivo «Futura». Un gruppo di ragazzini - hanno undici anni - approfitta del cambio dell'ora e dell'assenza dell'insegnante per dare libero sfogo all'esuberanza dell'età. Si appendono a un armadio, saltano qua e là, insomma fanno un po' di casino, riprendono tutto con il cellulare e mettono il filmato in rete. Quel video, però, viene visto anche da alcuni docenti, che portano il caso in consiglio di classe, al termine del quale viene deciso di sanzionare gli studenti con due giorni di sospensione. Quello che comunemente sarebbe considerato un salutare castigo, a cui peraltro dovrebbe seguire una sana ramanzina dei genitori tra le mura di casa. Macché. I genitori di uno dei ragazzi, infatti, decidono che sia più educativo fare ricorso al Tar contro la sospensione, invece di spiegare al figlio che certe cose a scuola non si fanno, e se si fanno poi si pagano le conseguenza. A scuola come nella vita. Una scelta assai discutibile. Ma cosa ancora peggiore, quel ricorso lo vincono.
Nella sentenza depositata solo pochi giorni fa, infatti, i giudici di via Corridoni spiegano che ne punire il ragazzo è stato violato nientemeno che il «diritto alla difesa», dal momento che ai genitori era stata comunicata la sospensione a decisione già presa, mentre «il soggetto interessato (e nel caso di specie la famiglia) deve poter conoscere le contestazioni che gli vengono addebitate (e che devono essere rappresentate con assoluta precisione circa i fatti e il precetto violato) prima dell'adozione della sanzione». Quasi fosse un procedimento penale, nel quale all'indagato devono essere assicurate le garanzie stabilite dal codice. E fa niente se c'è un video nel quale il ragazzino fa il diavolo a quattro in classe. Non basta, infatti, dire che «lo studente ha assunto comportamenti non consoni al contesto scolastico». Non è sufficiente un generico richiamo ai regolamenti dell'istituto, ma «la contestazione avrebbe dovuto individuare con precisione l'infrazione commessa» nel novero di quelle esplicitamente codificate dalla scuola.
E infine, una considerazione ancora più surreale.

«È evidente che l'omissione di una motivazione precisa, puntuale, circostanziata ed esaustiva impedisce il raggiungimento della finalità cui sono preordinati i provvedimenti disciplinari, che non possono avere carattere meramentre afflittivo, ma devono far comprendere al destinatario, anche tenuto conto della giovane età e pur con la necessaria mediazione dei genitori, quale sia il corretto comportamento nell'ambito della comunità scilastica al fine di educare a una convivenza rispettosa». Eppure il messaggio di questa sentenza suona tutt'altro: fate un po' come vi pare e cercate la scappatoia. Ci sono buone probabilità di restare impuniti.

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