Giudici contro giudici. La Procura contro uno dei magistrati di punta del Tar della Lombardia, il tribunale amministrativo che è arbitro in una infinità scontri tra cittadini e aziende e la pubblica amministrazione. Ed è in uno degli scontri più importanti di questi anni, sorto intorno alla gestione da parte del Comune di Milano della società Sea Handling, che il giudice amministrativo Adriano Leo, presidente della terza sezione, è accusato di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri di correttezza, scrivendo una sentenza diversa da quella che era stata stabilita in camera di consiglio. Per questo il pm Roberto Pellicano ha chiesto ieri il rinvio a giudizio di Leo per falso in atto pubblico.
Al centro della vicenda, un malloppo di 360 milioni di euro che il Comune aveva versato nelle casse di Sea Handling, la società controllata da Sea che si occupa dello smistamento di merci e bagagli all'interno degli aeroporti di Milano e Malpensa. Finanziamenti partiti da Palazzo Marino in direzione Sea nel corso di circa 10 anni, a partire dal 2002 - e quindi sotto le giunte Albertini e Moratti - e risultati decisivi nel tenere a galla i bilanci della società. Ma contro questi aiutini piombarono le critiche della Comunità Europea, che li considerò una plateale violazione delle norme che vietano gli aiuti pubblici ad aziende, anche se controllate da enti pubblici, che operano su mercati in regime (almeno in teoria) di concorrenza.
Nel 2012, dopo la decisione della Corte europea, il governo italiano si trova costretto a chiedere a Sea Handling di restituire la somma, lievitata nel frattempo grazie agli interessi fino a 452 milioni di euro. É una batosta che rischia di mandare al fallimento la società, e per questo a insorgere oltre ai vertici di Sea Handling sono anche il Comune e i sindacati. Parte il ricorso al Tar. E nel giugno 2013 la sezione preceduta da Leo non si limita a congelare l'efficacia del provvedimento, ma lo sospende. Una differenza da poco, per i non addetti ai lavori; ma fondamentale per consentire a Sea Handling di tirare il fiato, non iscrivendo a bilancio la stangata.
Pochi mesi dopo, il Consiglio di Stato annulla la sentenza del Tar lombardo. I giudici romani non si limitano ad accusare i colleghi milanesi di avere preso una decisione che esorbitava platealmente dai loro poteri. Proprio a causa della abnormità della decisione, cercano di capire cosa è accaduto. E scoprono che il dispositivo depositato da Leo è sostanzialmente diverso da quanto il presidente e i suoi giudici a latere avevano deciso in camera di consiglio. A quel punto è lo stesso Consiglio di Stato che, oltre ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti del presidente della terza sezione, fa partire una denuncia alla Procura di Milano.
Nel giugno dello scorso anno, il pm Roberto Pellicano interroga i due giudici amministrativi che affrontarono il caso Sea Handling insieme a Leo. E i due magistrati - Silvana Bini e Fabrizio Fornataro - confermano: la decisione era stata un'altra. Così l'incriminazione di Leo diventa inevitabile, e dopo la chiusura delle indagini parte ora la richiesta di rinvio a giudizio.
Leo rischia di finire sotto processo: e in aula sarà interessante cercare di capire come sia stato possibile che un magistrato esperto e rispettato come Leo si sia andato a infilare in un simile guaio, e per quale motivo. A meno che non prenda quota la versione difensiva che Leo ha fornito finora nel corso degli interrogatori: secondo cui si sarebbe trattato di un banale errore materiale.
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