Asfa: "Sfratto all'islam moderato? Il Comune eviti il fallimento"

Il direttore della moschea di via Padova e il flop della sinistra. "Noi senza casa. Ma il bando ha premiato chi offriva di più"

Asfa: "Sfratto all'islam moderato? Il Comune eviti il fallimento"

Direttore Mahmoud Asfa, il Tar oggi si pronuncia sulla vertenza aperta fra il Comune e un'associazione bengalese, sulla futura moschea di via Esterle. Cosa significa per il suo centro, la storica Casa di via Padova?

«Ci auguriamo, anzi siamo certi, che gli avvocati difenderanno il Comune fino in fondo, per evitare il fallimento delle iniziative alle quali l'amministrazione ha lavoro per anni. Siamo a ridosso delle elezioni, è una speranza, un augurio. Che questa volta che sia decisiva».

È il giorno più importante?

«Aspettiamo da 20 anni e lottiamo per un luogo di culto degno. Abbiamo creato un dialogo con la Chiesa, la società civile, le istituzioni, le scuole. È un'esperienza importante per tutta Milano. Non vorrei che andasse persa».

La vostra situazione?

«Abbiamo uno sfratto rimandato per tre volte, non sappiamo cosa succederà il 6 maggio. Il proprietario della attuale sede vuole vendere e rischiamo di finire per strada. Non esisterà più niente. Senza una sede non sappiamo che succederà. Con chi dialogheranno per esempio le scuole, ogni settimana ne riceviamo due-tre».

Anche Matteo Salvini è stato vostro ospite?

«Con la Moratti pregavamo nelle palestre, scaduto il bando qualcuno non voleva rinnovarlo. Intervenne Aldo Brandirali e durante il ramadan, quando i sindaci fanno gli auguri, venne a trovarci. Pensavo fosse solo ma era un pullman e c'era anche Salvini. Ci salutò molto cordialmente».

La sua posizione è dura. Di voi si potrebbe fidare?

«Io credo di sì. Tutti ci apprezzano. Non deve essere buttato per aria tutto quanto».

Dirimerà il caso, sul piano giuridico, il Tar. Ma, dal Comune, quali segnali sono arrivati ai vostri fedeli?

«I fedeli vengono perché ci seguono in questa linea di integrazione, anzi di apertura, di pacifica convivenza. Quando hanno sentito che il bando sarà rinviato, hanno cominciato a domandarsi: dobbiamo aspettare altri 25 anni?».

Se vincerà un'altra sigla, un luogo di culto sarà comunque garantito? No?

«Se vincono gli altri, vince una parte piccola della comunità, che rappresenta un quinto della comunità del Bangladesh. Noi abbiamo dentro 35 nazioni. I bengalesi sono più numerosi da noi. Da noi si prega in italiano dal 1993».

Sentenza a parte, è un paradosso che proprio voi restiate fuori alla fine di tutto?

«Io mi rivolgo al sindaco, che venne a trovarci e ha avuto l'appoggio della nostra comunità. Aspettiamo che la promessa sia mantenuta. Ricordo che la Moratti ci ha dato l'Ambrogino d'oro».

Ma perché non avete vinto voi il bando?

«La graduatoria ha dato importanza a chi offriva di più. Altri offrono di più e hanno vinto. Ma non è un'asta. Devono essere riguardati bene i criteri. Pisapia, prima di lasciare, pensi al bene della città. Il Comune trovi una soluzione».

Il responsabile cultura Pd Daniele Nahum ha bocciato il bando proponendo di procedere per affidamento diretto.

«Lui lo ha detto sì. Noi abbiamo accettato il bando perché era l'unica strada. Non ero convinto che risolvesse tutto ma era l'unica finestra aperta. Noi abbiamo speso tempo e soldi. E pagato 35mila euro per progetto e avvocati e per tutta la pratica. E non è finita».

Avete anche subito una scissione.

«La strada scelta era durissima ma siamo convinti che fosse la migliore. Anche Scola ci conosce. Mi aspetto una spinta anche da lui».

Ma non le pare che il Comune abbia scelto un altro interlocutore?

«No, vengono a trovarci. Con Majorino abbiamo un rapporto ottimo. Noi non dobbiamo essere strumentalizzati sotto il voto. Abbiamo 15-20mila voti, l'altra volta andati tutti a Pisapia. Un bel numero di votanti che aspettano».

E ora? Parisi non sembra contrario. Sala favorevole.

«Si apra un dibattito. Noi dobbiamo capire. La nostra gente è stufa. Spero di risolvere tutto prima delle elezioni, così saremo liberi e sereni».

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