Ci sono rimasti cinque mesi, sotto quel maledetto cavalcavia. I profughi afghani e pakistani accampatisi sotto i piloni della tangenziale est all'altezza dello svincolo di Linate, come aveva denunciato il Giornale a inizio luglio, sono rimasti dov'erano fino alle soglie dell'inverno.
Lunedì sono stati sgomberati da tecnici del Comune e uomini della polizia locale, che hanno così cancellato quel piccolo villaggio di baracche e giacigli improvvisati sorto in poche notti d'estate a ridosso dell'ex Cie di via Corelli.
Se già durante i mesi caldi la situazione era difficoltosa, con l'avanzare dell'autunno si è fatta insostenibile. I profughi dormono su materassi appoggiati sulla nuda terra, senza niente che li ripari dall'umidità. Cucinano all'aperto con fuochi liberi e il cibo è conservato in condizioni igieniche inimmaginabili, alla portata dei topi e degli scarafaggi.
L'accampamento di Linate non ha mai contato meno di venticinque persone che ora sono per la strada, senza avere dove andare. «La polizia locale ci ha detto di andarcene racconta Fahim, portavoce degli accampati Ma nessuno ci ha spiegato dove possiamo andare ora».
Per la verità nelle scorse settimane i profughi si erano rifiutati di trasferirsi nei dormitori, nonostante il freddo: «Nei dormitori non c'è mai la sicurezza di mantenere il posto a dormire, ci sono molti furti e alle sette del mattino bisogna uscire», protestavano. Ora però la situazione è cambiata e senza il vecchio accampamento sotto la tangenziale un riparo farebbe comodo.
I migranti sono andati al Centro di aiuto della Stazione Centrale, ma raccontano che lì si sono sentiti rispondere che prima di tre o quattro settimane sarà difficile trovare loro una sistemazione nei dormitori allestiti nell'ambito del Piano emergenza freddo che come ogni anno parte proprio a fine novembre.
Quest'anno però la città si trova ad ospitare un numero di profughi senza precedenti, con un aumento del 78 per cento delle richieste di asilo rispetto al 2015 (il dato, fornito dall'assessore Pierfrancesco Majorino, è di settembre). Il sindaco Beppe Sala ha chiesto a più riprese l'adozione di un piano nazionale che consenta di ripartire gli oneri dell'accoglienza fra le varie città, ottenendo dal ministro Alfano la promessa che il Viminale non invierà altri migranti all'ombra della Madonnina, dopo l'arrivo contestatissimo degli africani alla caserma Montello.
Ora che l'inverno è alle porte si rinnova un tema che da anni è ormai protagonista delle cronache milanesi: come accogliere tutti, migranti in attesa dei documenti e «semplici» senzatetto, nelle strutture comunali. Nei giorni scorsi Majorino ha annunciato che dei 2.700 posti predisposti nei ricoveri, ne rimangono liberi ancora cento. Da metà novembre unità mobili diurne e notturne pattugliano le strade della città per portare aiuto ai senza fissa dimora che rifiutano di entrare in dormitorio.
Un nucleo irriducibile di qualche centinaio di persone che non vogliono sentir ragioni e preferiscono affrontare l'inverno sul marciapiede pur di non doversi assoggettare alla realtà dei ricoveri.In molti, però, non sanno ancora dove andare. E qualcuno, come gli afghani e i pakistani di Linate, è ancora costretto a dormire all'addiaccio in attesa che si liberino i posti in dormitorio.
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