Che il teatro possa nascere da una visione è sempre stato vero: misteriose sono le vie che portano al cuore e all'intelligenza il desiderio di mettere in scena uno spettacolo. Alessandro Serra, instancabile ricercatore della forza scenica con la sua Compagnia Teatropersona (fondata nel 1999), la visione l'ha avuta mentre, con una paura inspiegabile che gli lavorava dentro, girava come fotografo i carnevali della Barbagia, nel 2006.
«Ero tornato nella mia Sardegna per documentare una realtà profonda come le feste barbaricine - dice Serra -. I sardi, quando hanno qualcosa di prezioso, se lo tengono stretto. Quelle maschere, i suoni, le voci, i sassi, il sangue, i campanacci, il vino sono stati per me un'illuminazione. Ho visto Shakespeare, la potenza che avrebbe avuto una delle sue opere maggiori recitata in sardo, la lingua meravigliosa, oscura e terribile che sentivo parlare in casa». Così è nato Macbettu, un Macbeth di Barbagia, interpretato solo da uomini, secondo i canoni elisabettiani. Lo vedremo da oggi a domenica al Teatro dell'Arte in Triennale, dove venne accolto con favore nel 2017. Anno in cui vinse il Premio Ubu e il Premio della critica teatrale. Serra aveva visto giusto, portando la tragedia del Bardo nell'aspra terra barbaricina, invece che nel Medioevo scozzese in cui si svolge la vicenda. «Persino l'inverno della Barbagia mi è sembrato perfetto, un paesaggio che porta negli abissi del male». Serra è sardo nato in continente, a Civitavecchia. «Mio nonno lì emigrò, con le sue pecore, come molti sardi che si imbarcavano per la Penisola. Lì sentivo parlare sardo, lingua che mi è rimasta dentro e mi porta alle radici». Lo spettacolo ha sovratitoli in italiano. «Ma ho visto» - dice il regista - che molti spettatori lasciano i sovratitoli e si accontentano della lingua che stanno ascoltando. Non capiranno ogni sfumatura, ma la sintonia con quel che vedono resta intatta».
Il Macbettu è un fiore raro, una bizzarria della produzione teatrale italiana. Il critico Franco Cordelli lo stroncò, scrivendo: «Non vedo l'ora di non vederlo». Ma le critiche negative diventano volentieri una medaglia per aver osato, per non fermarsi alla trasposizione filologica di opere, come quelle del Bardo, tradotte e tradite in ogni parte del mondo. Nello spettacolo non c'è solo la lingua di Sardegna, ma altri segni che portano nel cuore della grande isola. Come le pietre sonore dell'artista Pinuccio Sciola, scomparso nel 2016. Le sue sculture sono conosciute nel mondo.
Serra le ha scelte per dare un'ulteriore identificazione al proprio lavoro teatrale: scrive, dirige, cura scene, luci, costumi e suoni (le musiche sono di Garau). Macbettu trova nel teatro dell'Arte la casa perfetta: nel dna della sala legata alla Triennale c'è la vocazione a promuovere la scena contemporanea ai più alti livelli.
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