«Sono una donna che non si fa velare o zittire»

Maryan Ismail sale sul palco con un foulard rosso che le cinge la spalla. Niente a che vedere con i mortificanti veli che, coprendo il volto delle donne, ne mortificano la libertà. Maryan racconta la sua storia: «Sono somala, nata a Mogadiscio, città che aveva moschee, cattedrali, sinagoghe. Sono figlia di un politico e sorella di un diplomatico». Un anno e mezzo fa il fratello è stato ucciso in un attentato ad opera di jihadisti somali. «La mia formazione è di sinistra laica, progressista. L'Italia è diventata il mio secondo Paese». Maryan è antropologa. Ha condotto battaglie per l'integrazione e i diritti delle donne. A settembre ha criticato il Comune per il bando sulle moschee. «Sono musulmana - afferma con tono pacato e fermo - è un mio diritto pregare in una moschea sicura e accogliente ma quella moschea non aveva tre requisiti. Non metteva le donne fra le protagoniste, non scindeva religione e politica e non accoglieva tutte le anime del Islam». A giugno era candidata col Pd. Un mese dopo è uscita dal partito con una lettera indirizzata al segretario Matteo Renzi. «Sono assurta agli onori della cronaca per la mia rivolta». «Ho alzato la mia voce, mi sono ribellata perché non c'è stato un ascolto» dice senza urlare, nel suo intervento dal palco a una platea diversa dai congressi Pd. Ma il popolo di Parisi la applaude, quando parla della moschee, delle donne, dell'islam che prevale. Non il suo, africano e sufi: «L'islam narrato è politico - spiega - oscurantista. Dice che donne senza vela non sono musulmane. Io sono senza velo». «Io sono laica - ripete - posso vivere con tutti».

«Sono sufi, non accetto che vengano a dirmi che devo arabizzarmi, che devo diventare come una donna saudita». «Stefano Parisi ci dà la possibilità di accogliere questa visione, quella di una moltitudine di musulmani silenziosi».

AlGia

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