Sos adozioni per i gatti: nessuno vuole gli adulti

Sos adozioni per i gatti: nessuno vuole gli adulti

Adottereste un ragazzino orfano scappato dal riformatorio? Che domande. Impegnando il cuore, l’esserino che vogliamo deve essere politicamente corretto. E’ la prima richiesta di un adottante: «Che sia cucciolo e bello». Ma i gatti dicono che così non può continuare. Sono una sana educazione sentimentale le storie che si raccolgono nella sede dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) dove vivono trentacinque gatti. Hanno storie tremende tatuate sul pelo, ma lo stesso quando vedono l’uomo fanno le fusa con commovente ingenuità, come la micia trovata qualche tempo fa in un parco di Milano con la pancia e una zampa torturate in cilici di filo spinato. Da allora si avvicina solo alle donne, evidentemente fu un maschio a farle quel regalo.
Certo invece con tutti è arrabbiato nero. Anzi, grigio, visto che è fumo di Londra come un certosino di schiatta fine. Ha la pupilla dilatata dalla paura, grigia come il soffio che emette se t’accosti. I gatti hanno una memoria lunghissima. Due anni fa è caduto dai tetti dei Navigli, uno dei pochi luoghi di questa metropoli dove i gatti dormono alle coste di un camino; si è schiantato in mezzo a una strada. I ragazzi riversano vomito sull’asfalto della movida, i gatti vanno felpati vicino al cielo. La dice lunga sulla differenza tra noi e loro.
«Ci hanno portato Certo con la mandibola e una zampa fratturata. E’ dell’antica razza educata dalle madri dei tetti a temere tutti» racconta Lucia Bellini che segue da vicino i mici in attesa di un genitore umano, ovvero che abbia sentimenti umani e non umanoidi verso il creato. Certo interagisce con Lucia attraverso una garante, una micetta bianca e nera unica depositaria della sua fiducia, e condivide la stanza con un’altra micia epilettica. «Tre esemplari complicati da prendere, ma sono questi gli animali che ci insegnano il vero amore, non quelli che si spacchettano durante le feste. Bisognerebbe smetterla di vendere animali. E’ giusto prendersi cura di quelli che ci sono».
Gatti di vita. Felix con carattere e pelo, che hanno imparato la crudezza del mondo prima che deflagrasse questa crisi. Tra di loro c’è il «Nonno», scheletrico, tredici anni. Soffre di una demenza senile che lo porta a un perenne miagolìo se non viene coccolato. «E’ rimasto tre giorni sul sagrato di una chiesa denutrito e con bruciature sul corpo. La gente lo ha ignorato o spostato con i piedi, finché un’anima pietosa non si è decisa a chiamare l’ambulanza rossa dell’Enpa. «Lo abbiamo ristabilito e lo ha preso una donna anziana. L’anno scorso è morta. La figlia lo ha tenuto un anno in un appartamento sfitto, da solo, finché non lo ha riportato da noi». Il terrore del vuoto è aumentato e se il «Nonno» è solo il suo lamento è incessante.

Chi vuole un gatto così? Nessuno, eppure in quest’accozzaglia di single chiamata società è un gatto grigio che miagola in continuazione a dire che la solitudine è la condanna di eterni giovani effetti da demenza senile del cuore.

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