Antonio Bozzo
Il critico Eligio Possenti scriveva, nel 1962, che i veri nemici del teatro non sono la televisione e il cinema (oggi aggiungerebbe Internet), ma la scarsa convinzione degli attori e dei registi: i primi soprattutto se presi in prestito dagli schermi, i secondi schiavi di classici che riducono a loro piacimento, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Tanta convinzione, e amore vero per le scene, sprigiona invece «Per strada», al Parenti fino al 15 maggio.
Il lavoro è frutto dell'incontro di tre persone: l'autore e interprete Francesco Brandi, il suo collega in palcoscenico Francesco Sferrazza Papa, il regista Raphael Tobia Vogel (al debutto teatrale: Vogel è prima di tutto videomaker, e ha lavorato nel cinema con Salvatores e Avati). «Per strada» prende le mosse in una terra desolata, sotto una bufera di neve, con catene da montare sulle gomme della macchina e vite da mettere a posto. Fiocchi poetici accompagnano la scoperta reciproca dei due naufraghi di terra: il Brutto (Brandi, ovvero Jack) e il Bello (Sferrazza, ovvero Paul). Nel loro incontro scontro, che diventerà chiasmatico quando l'uno si scambierà con l'altro nel destino, ci sono tutte le ossessioni di una generazione di mezzo: quella che aveva 15 anni o giù di lì nel 1994, quando Roberto Baggio sbagliò il rigore a Pasadena, contro il Brasile, e sfumò il titolo Mondiale per l'Italia.
Non vogliamo togliere la sorpresa svelando di più, ma ci sono pure una pistola, un cane finto trattato come vero, discorsi su donne amate o tradite, una racchetta-chitarra sulla quale intonare «Hey Jude» dei Beatles, disamine su tristezza («non so cosa più triste che non più essere triste», scriveva Gozzano) e malinconia. Aiuto, direte, chissà che noia. No. Lo spettacolo è un fuoco di fila di buone battute, ha ritmo, scoppietta di sorprese (e non vi sveliamo il finale). Jack e Paul giocano la loro parte come si trattasse di un match di tennis: sempre al tempo giusto, segnando punti (le risate del pubblico, trascinato dalla storia), facendo l'occhiolino a topos comici come la celebre lettera scritta da Totò e Peppino in «Malafemmena». Entrati in sala pensando di vedere una pièce beckettiana, ne usciamo rincuorati apprezzandone la regia sicura e il rigore con cui viene recitato un testo nuovo («percorso ironico e contraddittorio verso la libertà emotiva», lo definisce Brandi).
La messinscena di Vogel, che utilizza anche proiezioni video sui tulle che delimitano lo spazio, ci porta con il sorriso dentro una vicenda emblematica di una generazione tra le spire del fallimento. Un tiro metterà la parola fine alla storia. Un tiro sbagliato come il rigore di Baggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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