«Uno su tre ha paura? C'è sfiducia nelle istituzioni»

«Uno su tre ha paura? C'è sfiducia nelle istituzioni»

«Dodici imprenditori su cento dichiarano di aver ricevuto minacce e intimidazioni? Il dato non mi sorprende». Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato antimafia del Comune, docente di Sociologia della criminalità organizzata alla facoltà di Scienze politiche della Statale, è un'autorità in materia.

Perché non è sorpreso? Sembra che le minacce siano davvero molto diffuse tra gli imprenditori...

«Non mi sorprende perché la presenza mafiosa è alta e anche la presunzione di impunità, nonostante tanti processi, è abbastanza elevata. Rispetto a quello che fanno, ne vengono colpiti pochi e sempre tardi. Il nostro rapporto a Pisapia è diventato un esposto alla Dda: siamo tenuti a proteggere i nomi ma sottolineo che abbiamo ricevuto molte segnalazioni esplicite».

Come si spiega questa presenza di minacce e richieste di pizzo così particolarmente elevata nell'area nord di Milano?

«Come università, abbiamo fatto un rapporto per la presidenza della commissione parlamentare Antimafia e abbiamo assegnato indici di presenza mafiosa a tutte le province del Nord. Le province con indice uno, il più alto, sono Milano, Monza e Brianza, Torino e Imperia. Quindi Milano e Monza Brianza, insieme, hanno una densità criminale altissima: costituiscono l'area con la più intensa presenza mafiosa».

E le tante segnalazioni in arrivo dal quartiere di Niguarda?

«Con il comitato antimafia abbiamo fatto il censimento antincendi: avevamo trovato Niguarda la zona con il tasso più alto di incendi dolosi. Già allora l'avevamo valutato come indizio di presenza mafiosa e di intimidazione. A Niguarda c'è la pressione dei clan Flachi, di origine calabrese, che hanno addirittura infiltrazioni dirette negli ospedali e sono considerati all'origine dell'incendio all'impianto sportivo Iseo di Affori».

Ma come è stato possibile un tale contagio e una penetrazione tanto profonda della 'ndrangheta a Milano?

«Milano è una piazza forte per i mafiosi anche perché ha sempre agito come se la criminalità organizzata non ci fosse. A Cermenate, per esempio, si è scoperto che c'è la “locale” di 'ndrangheta e non è una cosa da poco: per costituirla sono necessari 49 affiliati. E parliamo di affiliati».

Oltre il 50 per cento di chi riceve richieste di pizzo, anche se non paga, non denuncia la tentata estorsione. Come se lo spiega?

«Per non avere grane, perché non colgono di essere dentro una battaglia di civiltà di tutti. Manca il senso del pericolo collettivo, che invece esiste, perché la presenza è alta e quando alcuni settori, come il movimento terra, sono stati totalmente espugnati, vuol dire che un intero comparto economico non è più disponibile e questo risucchia parti intere di economia. È un danno, anche economico, per tutti i cittadini».

L'indagine è stata condotta in vista di Expo. Dopo le inchieste, vede qualche segnale di inversione di tendenza?

«Anche se da pochissimo, c'è una reazione della società civile, testimoniata anche da questa ricerca della Confcommercio. Si vedono segni di reazione con il Comitato antimafia e con l'attenzione maggiore ai beni confiscati, che diventano beni della città».

Il 30% degli imprenditori ritiene che possedere un'arma da fuoco possa essere un valido mezzo di difesa. Come giudica questo dato?

«È una tentazione, però vuole anche dire che si avverte una presenza carente dello

Stato: «Non vengo difeso, non vengo difeso bene, non vengo difeso subito». Un 5% di giustizialisti, gente che si scalda facilmente, poterebbe essere considerato fisiologico. Ma il 30% segnala una sfiducia nelle istituzioni».

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