«Su Zambetti prove certe: bisogna processarlo subito»

«Appare evidente» la prova che a Milano e nel suo hinterland la 'ndrangheta calabrese facesse politica, rastrellando voti, vendendo voti, spingendo per i suoi candidati. É questa la convinzione che il sostituto procuratore Giuseppe D'Amico ha raggiunto al momento di tirare le fila dell'inchiesta che nell'ottobre scorso portò all'arresto tra gli altri di Domenico Zambetti, Pdl, assessore regionale alla casa: un arresto così eclatante da portare alla crisi pressoché immediata della giunta di Roberto Formigoni. A cinque mesi di distanza da quella retata, D'Amico ha chiesto il giudizio immediato per tutti i diciotto indagati. Se la richiesta verrà accolta, gli imputati finiranno tutti a processo senza nemmeno passare per il filtro dell'udienza preliminare.
Da una parte Eugenio Costantino, commerciante di oro usato, entrato nell'entourage del boss Giuseppe D'Agostino. Dall'altra i tre politici a favore dei quali il clan avrebbe rastrellato voti in cambio di quattrini e favori: l'assessore Zambetti, il consigliere comunale Vincenzo Giudice e sua figlia Sara, candidata sindaco a Milano come «l'anti-Minetti», e il sindaco di Carpiano Alfredo Celeste. A legare i due mondi, secondo la Procura, un rapporto variegato, fatto di favori e di ricatti, di appalti e di minacce, ma dove ognuno aveva alla fine i suoi vantaggi. E poi, un nome importante: Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, già sondaggista di fiducia di Berlusconi. Crespi junior è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: era lui, grazie alle sue conoscenze milanesi, soprattutto nella zona di Baggio, ad avere portato a Costantino oltre duemila voti decisivi per la candidatura di Zambetti.
L'inchiesta della Dda aveva costretto a rivedere vecchie certezze: quelle secondo cui a Milano la grande criminalità prospera e fa affari, ricicla e corrompe, non disdegnando un rapporto col potere politico, ma senza fare politica in proprio. Invece le esplicite intercettazioni di Costantino, o il racconto raggelante delle minacce di D'Agostino a Zambetti, raccontavano scenari quasi da profondo Sud.
Di fronte ai materiali raccolti dai carabinieri del Nucleo Investigativo, gli imputati hanno reagito in modo diverso l'uno dall'altro. Zambetti è parso quasi annichilito; Costantino ha cercato di ridimensionare il suo ruolo, dipingendosi come un imbroglione che vendeva ai politici voti in realtà inesistenti, e millantando rapporti criminali ben fuori dalla sua portata: «Fin da bambino ho sempre avuto molta fantasia»; Ambrogio Crespi ha respinto tutte le accuse, e sostenuto dal fratello ha costruito una specie di controinchiesta per dimostrare - con alla mano l'analisi dei flussi elettorali stilata da un esperto come Roberto D'Alimonte - che in nessun seggio di Milano vi furono concentrazioni di voti anomale a favore di Zambetti.

Di fatto, Crespi si dichiarava vittima incolpevole delle millanterie di Costantino, che spacciava ai suoi interlocutori balle colossali sui pacchetti di voto spostati a favore di questo o quel candidato. Sulla base anche della perizia di D'Alimonte, Crespi aveva chiesto alla Cassazione di annullare l'ordine di cattura nei suoi confronti: ma venerdì scorso il ricorso è stato respinto.

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