Non basterebbe un libro per raccontare le mille avventure musicali (multistrumentista, produttore e chi più ne ha più ne metta) di Marcus Miller, noto a tutti come «il padre della terza rivoluzione del basso elettrico» dopo Stanley Clarke e Jaco Pastorius.
Più che parlare di lui è unesperienza unica ascoltarlo, visto che si ferma ancora due giorni in città, stasera e domani al Blue Note, dove ha tenuto una maratona di concerti iniziata martedì. Artista poliedrico e vorace, con la sua inimitabile tecnica «slap» ha allargato gli orizzonti del jazz e del funk portando in scena un suono senza limiti di generi e stili. Oltre ad essere un indiscusso maestro del basso, Miller è un ottimo clarinettista (lo strumento su cui si è formato alla Music and Art High School di New York, dove è nato nel 1960), chitarrista e pianista (lo strumento che lo ha lanciato nel mondo del jazz e che scopre grazie a Wynton Kelly, un cugino che suonò con Miles Davis).
La sua carriera si è sempre dipanata su binari paralleli; il jazz e la musica popolare nera. Comincia a suonare il basso ascoltando i Jackson 5 mentre a 17 anni è già alle prese con il «vero» jazz di Paul Chambers. Si fa le ossa negli studi di registrazione e incide con David Sanborn avvicinandosi poi al soul con Roberta Flack e Aretha Franklin. Tra le sue collaborazioni più prestigiose quelle con i fratelli Brecker e soprattutto quella con Miles Davis, con cui fra laltro incide Tutu di cui è produttore e scrive la maggior parte dei brani, (fra laltro Miller ha pubblicato recentemente un cd dal vivo intitolato Tutu Revisited), We Want Miles, Amandla e la colonna sonora del film Siesta.
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