Luca Fazzo
Peccato che non ci siano le telecamere di Un giorno in Pretura, al processo ai clan criminali di Quarto Oggiaro e del Varesotto, che si celebra davanti alla settima sezione del tribunale. E non solo per filmare la faccia che tutti - il pm Musso, gli avvocati, i coimputati - fanno quando irrompe in aula la notizia: «Hanno arrestato Gadaleta!»: e Gerardo Gadaleta detto Kriminal fin all'udienza scorsa sene stava beato a piede libero, seduto tra il pubblico con i vestiti di buon taglio («Gadaleta è più elegante del pm!», si lamentava Musso), e la situazione aveva del surreale, viste le accuse pesanti che gli gravano addosso. Il pm un giorno lo aveva abbordato davanti a tutti, chiedendogli una mano a catturare il latitante numero uno di questo processo, Francesco «Giango» Castriotta. Gadaleta, a sentirsi trattare come una potenziale spia, si era arrabbiato moltissimo. E pochi giorni dopo al pm era arrivato un misterioso bigliettino di minacce, «c'è dell'acido pronto anche per te».
Ieri notte però la burocrazia giudiziaria compie i suoi ritmi, e l'intreccio di cavilli, di ricorsi, di sentenze e risentenze che teneva Gadaleta ancora libero si scioglie; diventa definitiva la condanna a vent'anni di carcere che gravava sulla groppa di questo cerignolano distinto ed enigmatico, i 68 anni portati con scioltezza, accusato di essere uno dei signori del traffico di coca, nonché principale socio del latitante Castriotta. E così dalla prossima udienza se Gadaleta vorrà assistere all'udienza dovrà farlo nella gabbia riservata ai detenuti, e senza cravatta.
Per singolare combinazione, la notizia delle manette a Kriminal arriva a chiusura di una udienza a fosche tinte, che vedeva sul banco dei testimoni un altro veterano della mala milanese: Diego Tripepi, classe 1958, da poco condannato a quindici anni. Tripedi sta male, arriva in aula in sedia a rotelle portato a braccia dai lettighieri, è scosso non si capisce se dalla Sla o dal Parkinson, parla a fatica. Ma è lucido e furbo come un ramarro. «Buongiorno, Tripepi», gli dice il pm. «Signor Tripepi!», lo corregge lui.
Il percorso processuale di Tripepi è stato ondivago. Quando lo arrestarono scelse di cantare, e inguaiò un sacco di suoi ex compari, come Francesco Muscatello, accusandoli di essere a capo di uno dei più grossi mercati di cocaina milanesi. Poi, la prima volta che comparve davanti a un giudice, si rimangiò tutto. Dice ieri: «Avevo fatto quelle dichiarazioni sperando di uscire perché mi sentivo male. Il pm mi aveva promesso... Dicevo delle cose che a lui facevano piacere per accontentarlo. Ma lui non mi ha messo in una sezione protetta, mi ha scaraventato con quelli con cui avevo detto di avere rapporti». Insomma, che potevo fare? Però poi ci ha ripensato un'altra volta. «Quindi lei si è pentito di essersi pentito di essersi pentito?», sarcastica il pm, mentre dai banchi delle difese gli avvocati insorgono e il giudice Anna Calabi minaccia di sospendere l'udienza. Alla fine, nelle sue contorsioni, Tripepi conferma: «Compravo la cocaina da Muscatello».
É questo, in fondo, l'ultimo processo ad una generazione di malavita milanese: e basta un salto in aula per rendersene conto, gli imputati principali hanno i capelli bianchi, il bastone, il viso segnato dagli anni di carcere. É vecchio Tripepi, è vecchio Gadaleta, è vecchio Antonio Paviglianiti che è da poco tornato libero, e che se ne sta, tozzo e tosto, dietro le transenne.
E soprattutto è vecchio l'imputato numero uno, Biagio Crisafulli detto «Dentino», l'uomo che ha regnato su Quarto Oggiaro per un ventennio, e che oggi la Procura accusa di continuare a tirare da dietro le sbarre le fila del traffico di droga. E ieri Musso lo ribadisce al suo legale: «Detto informalmente, io sono sicuro che Crisafulli comanda ancora». E l'altro: «Detto informalmente, no».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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