Uccise il poliziotto ma è libero da più di un anno

Uccise il poliziotto ma è libero da più di un anno

Venne condannato per omicidio volontario a 16 anni e 2 mesi e interdetto a vita dai pubblici uffici. Il ricorso in Cassazione fu respinto perché i giudici lo ritennero «inammissibile», ma i 78mila euro con cui avrebbe dovuto risarcire la famiglia dell'uomo che aveva assassinato non si sono mai visti. Già l'anno scorso però, nel dicembre 2012, dopo aver scontato appena dieci anni, il 42enne Massimiliano Santoro è tornato definitivamente in libertà ed è sparito dalla circolazione. Il suo nome forse a molti sul momento potrà non dire nulla. Ma il mosaico di quella giornata infernale si ricomporrà in automatico nella mente di tante persone collegando il soggetto al muratore disoccupato che il 28 giugno 2002 - dopo aver messo al sicuro il suo adorato iguana con ben una settimana di anticipo -, rifiutò di farsi sfrattare e fece saltare in aria l'appartamento Aler di viale Giovanni da Cermenate 64 nel quale viveva e si era barricato, uccidendo il 40enne vice questore Paolo Scrofani e ferendo altre 22 persone. Quel che capitò allora, oltre 11 anni fa, fu infatti una sorta di strappo, di spartiacque emotivo per Milano. Qualcosa di così violento che sono parecchi - e non solo in questura o negli ambienti della polizia - che ancora ricordano cosa stavano facendo in quel pomeriggio afoso. Un fenomeno molto simile al rapimento Aldo Moro. La follia calcolata e la personalità egoistica e irresponsabile di Santoro si portarono via, insieme alla vita di Scrofani (marito di Emma e padre di Federica, allora dodicenne) un pezzo di quella Milano perbene, pulita, laboriosa e sorridente che fa tanto la differenza. Trasformando quell'estate appena iniziata in un lungo periodo di lutto che coinvolse tutta la città.
Dirigente del commissariato Ticinese, nonostante non fosse in servizio, Scrofani quel giorno era giunto sul posto e aveva avviato una mediazione con Santoro che, all'arrivo dei vigili e della polizia, aveva già sparato con una pistola rubata, ferendo alcune persone. Il vice questore, mentre cercava di convincerlo ad arrendersi parlandogli da dietro la porta d'ingresso dell'abitazione, dirigeva le operazioni di evacuazione degli altri inquilini dello stabile. Non sapeva Scrofani, nessuno sapeva, che Santoro aveva aperto anche il gas. Così, quando dopo aver saturato l'appartamento il disoccupato si accese una sigaretta, la fiammella dell'accendino innescò un'esplosione che devastò il condominio dilaniando il poliziotto coraggioso. Mentre quest'ultimo moriva in ospedale e i suoi organi venivano donati a pazienti bisognosi di trapianti, Santoro, seppure ferito, sopravvisse.
Al processo l'ex muratore non dà alcun segno di cordoglio. Anzi: il suo atteggiamento è talmente indifferente da apparire a tratti molesto. «La pena inflitta (...) deve essere ritenuta strumento per correggere l'indole violenta di un soggetto privo di capacità di autocontrollo» spiega nelle 15 pagine di motivazioni della sentenza il giudice Giorgio Barbuto.
Dopo i processi, sulla storia dell'ex muratore cala il silenzio più assoluto. Chiedere in giro di lui, anche negli anni immediatamente successivi alla condanna definitiva, è come cercare informazioni sull'uomo invisibile: cellulari di parenti e familiari staccati, recapiti domiciliari abbandonati da anni, conoscenti e avvocati che non lo hanno mai più rivisto. «Santoro? Non ne so più niente da anni» rispondono quasi all'unisono sia l'avvocato Giuseppe De Pascale Pepe, del foro di Milano, che lo difese in primo grado che Patrizia Guglielmana, di Lecco, il legale che si occupò di lui in seguito. Con un po' di pazienza riusciamo a scoprire, però, che le porte del carcere dietro le spalle di Santoro non si sono mai chiuse in maniera troppo definitiva. Dalla casa circondariale di Opera (notoriamente «dura») venne successivamente trasferito a quella di Monza, per essere portato infine nel carcere rieducativo di Bollate. Lì, nel giugno 2011, è stato ammesso al regime di semilibertà terminato nel marzo 2012 quando inizia a usufruire della detenzione domiciliare con il permesso di assentarsi. Nel dicembre 2012, infine, grazie all'indulto e alla buona condotta, viene scarcerato.


Emma Ivagnes, vedova di Scrofani e primo dirigente alla questura di Lecce dove ora è a capo della divisione anticrimine, sibila fiera: «Quell'uomo per me non esiste». Da qualche parte, intanto, Santoro vive la sua vita da uomo libero. Mentre Paolo Scrofani è morto più di undici anni fa.

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