«Vi racconto il sogno di Cortàzar»

Fabrizio Gifuni legge stasera al Franco Parenti «Un certo Julio»

Antonio Bozzo

Che siate «cronopios» o «famas», al Franco Parenti vi aspetta Fabrizio Gifuni, stasera in ultima replica (ma lo spettacolo forse tornerà nella prossima stagione: noi ce lo auguriamo) con «Un certo Julio». Ovvero un certo Cortázar (1924-1984), grande scrittore argentino - chi non ha letto «Il gioco del mondo» o «Bestiario» o «Il giro del giorno in 80 mondi» li cerchi in libreria -, stimatissimo da Borges, nome di culto della letteratura ispano-americana, uomo di vasti interessi e di vera cultura internazionale. Gifuni, che per nostra fortuna ci ha abituato alle sue incursioni nelle pagine dei grandi - tra i quali Gadda, Camus, Pasolini - a Cortázar aggiunge anche Roberto Bolaño (1953-2003), scrittore cileno altrettanto amato e riconosciuto nell'Olimpo delle lettere contemporanee, che venerava il collega argentino.

Autore quantomeno bizzarro, visto che ha compilato «La letteratura nazista in America»: 32 scrittori mai esistiti raccontati puntigliosamente. Ecco perché, dicevamo più su, «cronopios» e «famas» troveranno stasera pane per i loro denti. Le due categorie, inventate da Cortázar per un celebre libro di racconti, si dividono il genere umano: «cronopios» sono i sognatori, i pasticcioni, gli irregolari di ogni risma; «famas» i portatori di ordine, tetragoni e noiosi. Ma nulla esclude che le due fazioni si confondano: letteratura e teatro, in fondo pure la vita, sono regni dell'Imprevedibile. «Di Cortázar leggo pagine da un suo libro considerato erroneamente minore. Un libro di racconti esilaranti, come quasi tutto Cortázar, che mettono in discussione il principio di identità», dice Gifuni.

Il titolo di cui parla, «Un certo Lucas», è edito da Sur, meritorio marchio che pubblica autori latino-americani. Di Bolaño legge brani da «I detective selvaggi» (Adelphi), oltre che l'intervista rilasciata dallo scrittore a Torino, al Salone del Libro, poco prima di morire. «Diceva che non ha senso dividere gli scrittori in fabbricatori di racconti o di romanzi, come fossero mondi distanti. Il romanzo può essere, nei grandi autori è, una somma di dieci o quindici racconti, legati insieme. Devo ricordare che il ponte tra i due autori è stata la magnifica traduzione di entrambi a firma Ilide Carmignani».

Per Gifuni, ogni scrittore è un'officina che rimane aperta.

In scena da solo per un'ora («ma ho provato lo spettacolo anche con il musicista argentino Javier Girotto, sarà con me al Vascello di Roma»), Gifuni considera questi suoi lavori sugli scrittori «resistenza culturale alla civiltà dei consumi, dell'usa e getta. Non porto in scena giocattoli che si buttano, ma emozioni e parole che restano». Non si può dargli torto.

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