Sale a 3 milioni di euro il valore dei beni sequestrati a Francesco Manno, 57 anni, esponente di spicco della «locale» di 'ndrangheta di Pioltello. Ieri un nuovo decreto a suo carico, dopo quello emesso lo scorso 22 marzo. «Persone a lui vicino - spiega Alessandra Simone, capo della Divisione anti crimine della Questura - ci hanno confermato che questi beni sono stati comprati attraverso familiari e prestanome. Questo intervento segna un duro colpo a Manno».
Il tesoro di Manno comprende, tra l'altro, una villa di oltre 200 metri quadrati con otto stanze, un appartamento di sette vani con terrazzo e box, un immobile adibito ad asilo nido, un bar tavola calda. Tutti gli immobili si trovano a Pioltello. Si aggiungono 36mila euro che si trovavano su alcuni conti correnti. Il sequestro antimafia è stato eseguito dagli agenti della polizia. Il nuovo provvedimento è l'esito delle indagini patrimoniali della Divisione anti crimine da cui sono emersi nel patrimonio del 57enne ulteriori beni di presunta provenienza illecita. Gli accertamenti degli investigatori hanno messo in luce una sproporzione tra quanto posseduto da Manno e quanto dichiarato. I beni sarebbero ufficialmente frutto dell'attività di una azienda del settore edile. Ma proverrebbero in realtà, per gli inquirenti e per la Procura, dall'attività criminale. Il 22 marzo scorso Manno era già stato colpito da un primo sequestro preventivo del valore di 1 milione di euro.
Le sentenze di condanna a carico di Francesco Manno lo hanno giudicato membro importante della «locale» di Pioltello, sodalizio nel quale sono coinvolti diversi componenti della sua famiglia e riconducibile alla cosca di Caulonia, nel Reggino. Manno è stato condannato nel 2014 per associazione mafiosa a nove anni di carcere al termine dell'operazione Infinito e nel 2016 a quattro anni e sei mesi per concorso in rapina. Sconta una condanna definitiva a 13 anni e mezzo, frutto del cumulo delle pene. Si trova nel carcere di Opera. Il figlio di Francesco Manno, il 25enne Roberto che è anche nipote di Alessandro, considerato il reggente della «locale» di Pioltello, è stato condannato in primo grado nel dicembre scorso a cinque anni e due mesi. Per rivalersi di un debito non saldato di 20mila euro, mise una bomba carta davanti alla porta di un cittadino ecuadoriano. Si trattava del padre del suo debitore, rimase danneggiata l'intera palazzina a Pioltello. Il gup Guido Salvini ha riconosciuto nella sentenza l'aggravante del metodo mafioso.
Il giovane boss, accusato di tentata estorsione, estorsione e usura, avrebbe agito non solo per riparare «l'aspettativa economica ma l'affronto portato a persone anche molto giovani ma che, per la loro appartenenza familiare, dovevano essere rispettate».
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