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«Il mio miracolo: le figurine dei santi più vendute di quelle dei calciatori»

Aimitazione di Saulo, che diventò San Paolo cadendo da cavallo sulla via di Damasco, il ragionier Graziano Toni è diventato quello che è stramazzando sul pavimento della filiale Unicredit dov’era direttore. «Subito ho pensato a un infarto. Per fortuna è andata bene: solo un collasso. Troppe preoccupazioni, troppi clienti da seguire, troppe aziende con i conti in dissesto. Ormai passavo le notti in bianco. Mi son detto: qui, caro mio, devi licenziarti e cambiar vita».
Trovandosi a Lugo di Romagna, il colpo d’ala gli è venuto da due glorie locali: il massone Francesco Baracca, eroe dell’aviazione nei cieli fra Caporetto e la linea del Piave durante la Grande guerra, e Francesco Piccinini, agitatore delle plebi che aveva in animo di raggiungere la luna in mongolfiera se nel maggio del 1872 non fosse stato «spento a tradimento da ferri omicidi e cuori bestiali e menti selvagge», come ricorda la lapide sotto la Rocca dettata da quell’altro senzadio di Giosuè Carducci.
Be’, dalla cittadina dei mangiapreti il ragionier Toni è riuscito ad arrivare più in su, molto più in su: direttamente in paradiso. È lì, fra i cherubini e i serafini, che ha trovato il suo nuovo lavoro: editore di figurine dei santi. In pratica ha applicato alla religione la ricetta che i fratelli Panini di Modena inventarono nel 1961 per il calcio. Gli emiliani infilarono nella bustina due figurine di giocatori della serie A e la vendettero in edicola a 10 lire. Il romagnolo ci ha messo dentro sei santini autoadesivi e se la fa pagare 60 centesimi di euro. Fatti due conti in base all’indice Istat di rivalutazione monetaria, vien fuori che i personaggi celesti valgono circa il doppio dei campioni sportivi di 45 anni fa.
Ma alla Borsa della fede i numeri che documentano l’autenticità del prodigio sono ben altri. Dallo scorso 18 dicembre, data di uscita dell’Album dei santini, 442 figurine con tanto di imprimatur del cardinale Ersilio Tonini, sono stati venduti la bellezza di 1,5 milioni di pacchetti, pari a 9 milioni di immaginette, il che tradotto in cifre significano 900.000 euro d’incasso. Ai quali vanno aggiunti 100.000 album a tre euro l’uno su cui incollarle: altri 300.000 euro. Inoltre 6.000 collezionisti italiani, che volevano essere assunti in cielo senza l’alea delle bustine, hanno sborsato 36 euro ciascuno per avere subito la raccolta completa tramite posta: altri 216.000 euro. Infine 3.000 album in lingua inglese sono stati piazzati fra Stati Uniti, Germania, Svizzera e Malta a 42 dollari l’uno: al cambio di questi giorni, fanno altri 104.000 euro. Totale: quasi tre miliardi di vecchie lire.
A questo punto l’«aiutati che il Ciel t’aiuta» più che una banale esortazione dev’essere apparso al ragionier Toni come un solido teorema, tanto da decidere di ritirare l’Album dei santini il prossimo 30 aprile e di tentare il bis con un secondo album di 504 figurine, Santi, i campioni della fede, che ha mandato nelle edicole l’altro ieri con la benedizione del cardinale Achille Silvestrini. Tiratura: un milione di bustine.
Più popolo di santini che di santi, poeti e navigatori, gli italiani non s’accontentano di collezionare le Madonne coronate, i Martiri neri dell’Uganda, la Legione Tebea e financo la beata Panasia, cenerentola decenne di Ghemme infilzata con un fuso dalla matrigna perché s’attardava a pregare anziché riportare il gregge all’ovile. No, vanno matti persino per i «luttini», cioè i cartoncini in passato ornati di nappine e merletti che commemorano i defunti, inclusi quelli di stirpe regale. Come la principessa Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III e della regina Elena, morta nel campo di concentramento di Buchenwald e risarcita con un «luttino» che reca scritto sul frontespizio «N. 262. Una donna sconosciuta», traduzione del cartello «Eine enberkannte fraue» che compariva sulla fossa senza nome nel cimitero di Weimar.
La fortuna dell’ex bancario Graziano Toni, ritrovatosi a 41 anni con una figlia di 16 da mantenere, un matrimonio dichiarato nullo dalla Rota Romana e un lavoro di venditore di pubblicità sulle emittenti locali che non gli piaceva per nulla, è stata quella d’imbattersi in Roberto Bordini, facoltoso commercialista di Lugo, che ha deciso d’investire a scatola chiusa sulle figurine dei santi 200.000 euro. «Lui ci ha messo i quattrini, io solo l’idea». A dire il vero ci ha messo anche un direttore editoriale, un consulente, tre impiegate e le sale affrescate di Palazzo Cicognani, uno storico edificio che aveva acquistato dalla contessa russa Elena Wolkonsky, discendente degli zar.
Perché Bordini le ha dato fiducia?
«Perché è un amante del bello. Per una singolare coincidenza sono andato a proporgli il mio progetto proprio mentre era immerso nella lettura di un dizionario d’arte di Rosa Giorgi, I santi nella pittura, pubblicato dall’Electa».
La prima risposta qual è stata?
«“Buona idea. Mi piace”. Mi ha intestato il 40% delle azioni della Pubblicazioni Srl senza pretendere che versassi un solo euro».
L’avrà trovato in stato grazia. Un altro le avrebbe dato del matto.
«Ma a Bordini piacciono le novità. E poi le vite dei santi lo appassionano. Domenica scorsa era a visitare l’antica pieve di San Vito a Ostellato. Il giorno dopo è venuto a raccontarmi, molto turbato, di come il martire siciliano sopravvisse alle torture ordinate dall’imperatore Diocleziano: prima immerso nella pece ardente, dalla quale uscì illeso; poi gettato in pasto ai leoni, che invece di assalirlo gli leccarono mansueti i piedi; infine sottoposto al supplizio dell’ecùleo, il cavalletto su cui si straziavano le membra dei condannati».
Da bambino lei faceva la raccolta delle figurine Panini?
«Certo. Mi ricordo ancora quella di Pierluigi Pizzaballa, il portiere acrobata dell’Atalanta. Era introvabile, si diceva che non fosse stata nemmeno stampata. Invece era semplicemente accaduto che le edizioni Panini andavano per fotografarlo ma non lo trovavano mai. Così almeno ha raccontato Pizzaballa tre anni fa».
E chi ci assicura che non capiti lo stesso con i santini?
«Impossibile. Vengono stampati contemporaneamente, e tutti nello stesso numero di esemplari. Poi vabbè, ci sono di mezzo i calcoli matematici e le probabilità. Ma ci affidiamo a una ditta di Modena, la Edis, specializzata nel miscelarli in modo da evitare doppioni. Le figurine rare oggi sono vietate. Le associazioni dei consumatori ci stanno attentissime, ti fanno causa se sgarri».
Come spiega il travolgente successo dei santini?
«All’inizio avevo provato anch’io con i calciatori del Cervia, ma è stato un mezzo flop. Ne ho concluso che dovevo proporre qualcosa di originale, mai visto prima. Con i santini pensavo di rivolgermi a un pubblico formato da bimbi e collezionisti. Invece i telefoni squillano in continuazione, chiamano clienti di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali».
Per dire che cosa?
«Molti si lamentano perché non ho previsto la figurina di San Gennaro».
Ahi ahi ahi.
«Ma l’Album dei santini è una panoramica che spazia dalla Natività ai ricordini della prima comunione. Rimedio con la nuova raccolta, che riguarda solo santi patroni e protettori».
Però non mi ha spiegato i motivi del successo.
«Sono figurine che coinvolgono tre generazioni. Non hanno niente a che vedere con quelle del wrestling o dei Pokémon, oggetti misteriosi per gli adulti e incentivo all’isolamento per i fanciulli. Qui abbiamo nipoti che si fanno aiutare dai nonni, e viceversa. Ci chiamano parecchi ottuagenari che si lamentano perché non riescono a staccare l’adesivo oppure smaniano per completare la raccolta. Tre addette devono occuparsi per otto ore al giorno solo dell’invio a domicilio dei santini mancanti. Evidentemente ho avuto un’idea che ha riempito un vuoto: la figurina per tutti».
Di sicuro i cinesi si guarderanno dal copiargliela.
«Anche gli italiani. Per poterli riprodurre fotograficamente, i santini bisogna averli».
E lei li ha.
«Li colleziono dall’età di 18 anni, sono arrivato a 10.000 pezzi. Ma soprattutto posso contare sull’incredibile archivio di un agricoltore di Medicina, in provincia di Bologna, che ne ha ben 80.000. È un uomo schivo, che non ama essere citato. Mi è stato presentato da Vittorio Pranzini».
Chi è Pranzini?
«Un pedagogista che ha diretto il carcere minorile Beccaria di Milano. Studia da anni l’iconografia sacra di piccolo formato e ha curato l’allestimento di diverse mostre, fra cui una ai Musei vaticani. Quando gli ho proposto di diventare nostro consulente editoriale, era molto perplesso. Avendo scritto cinque libri sul tema, l’idea di sporcarsi le mani con le figurine gli piaceva poco. Ha dovuto ricredersi».
In che modo è riuscito a mettere insieme 10.000 santini?
«Girando per mercatini d’antiquariato. Ora ho dovuto rinunciare: troppo cari».
Quanto costano?
«Quelli del ’600 e del ’700 arrivano a 2.000 euro. Quelli di fine ’800-primi ’900 sono sui 20-30 euro a pezzo».
A lei quali piacciono?
«I canivets. Sono pergamene per lo più settecentesche intagliate dalle suore di clausura con un temperino o con un punzone, che recano incollata al centro l’immagine sacra dipinta a mano».
Come mai il fenomeno delle figurine resiste all’usura del tempo?
«Per i bambini è un gioco che presuppone lo scambio e dunque li mette in relazione con i coetanei. L’effetto sorpresa è lo stesso dell’uovo di Pasqua. Per gli adulti è un modo di ritornare bambini».
Lei è religioso?
«Sì. Ho fatto il chierichetto dai 6 ai 17 anni nella chiesa di San Mauro, tra Lugo e Faenza».
A che cosa servono i santini?
«Sono un’espressione di religiosità popolare».
Perché mai la Madonna e i santi amerebbero essere venerati in effigie?
«Bella domanda, a cui non so rispondere. Tuttavia escluderei che trovarsi nelle tasche della gente o nei comodini possa dispiacergli».
E che mestiere farebbe se l’Italia fosse un Paese musulmano, considerato che l’Islam vieta il culto delle immagini?
«Non oso pensarlo. Un motivo in più per preservare il patrimonio di fede che ci hanno lasciato i nostri padri».
In questo momento lei ha un santino con sé?
«Sì, quello della Madonna della Salute custodita nel santuario di Solarolo». (Estrae il rettangolino spiegazzato dalla tasca della giacca e me lo mostra).
Chi sono i santi ai quali vengono dedicate più immaginette devozionali?
«San Giuseppe, Sant’Antonio da Padova, San Francesco d’Assisi e padre Pio da Pietrelcina».
Spesso si rinviene un santino di padre Pio nel portafoglio delle persone care defunte. Mai sfiorato dal dubbio che si tratti di scaramanzia?
«Il confine fra religiosità e superstizione è molto sottile. Resta il fatto che i santini riescono ad avvicinare a Dio esattamente come un’opera d’arte o una composizione musicale».
Ho visto santini che hanno incorporati pezzetti di stoffa, magari macchiati di marron, spacciati come reliquie insanguinate di martiri, e addirittura reperti del velo della Beata Vergine.
«Io ne possiedo uno che contiene un frammento del saio di San Leopoldo Mandic, il cappuccino morto a Padova nel 1942, e penso che sia autentico. Se anche così non fosse, resta il fatto che per 34 anni la gente s’è messa in coda per confessarsi e ricevere l’assoluzione da questo povero frate che veniva dalla Dalmazia e che diceva quattro parole in tutto perché conosceva poco l’italiano».
Chi è il santo protettore degli stampatori di santini?
«Sono due: Sant’Agostino di Ippona e San Giovanni Evangelista, patrono di editori, tipografi, librai e cartolai. Il quale, se stiamo al racconto di Tertulliano, sul finire del II secolo subì il martirio a Roma, nel luogo dove oggi sorge la basilica di Porta Latina, mediante l’immersione in una caldaia di olio bollente. Uscitone indenne, i Romani lo mandarono in esilio nell’isola greca di Patmos».
Di Graziano, il suo patrono, che cosa sa?
«Fu martirizzato il 23 ottobre ad Amiens, in Francia, probabilmente fra il 285 e il 287. Nel luogo del supplizio sorgeva un noce, che si voleva fosse spuntato dal bastone da viaggio di Graziano. Fatto sta che ogni anno, il 23 ottobre, il noce si copriva di foglie e di frutti maturi. Per essere certi della soprannaturalità dell’evento, il giorno precedente i pellegrini spogliavano l’albero della vegetazione estiva. Il fenomeno è documentato in una lettera del 1115, scritta dal vescovo di Amiens, e in un sermone del 1117: gli autori affermano d’aver assistito personalmente al miracolo».
Quando e dove nasce l’industria del santino?
«Nel 1500 ad Anversa, in Belgio, a imitazione delle 243 xilografie relative alla vita dei santi contenute nel Legendario deli sancti historiado, detto anche Leggenda aurea di Jacopo da Varazze, un incunabolo pubblicato nel 1492 a Venezia. In seguito si affermò in Francia soprattutto per merito di Jacques Callot, nato in Lorena nel 1592. Trasferitosi nel 1608 a Roma, e poi a Firenze, Callot fu uno dei maggiori incisori di stampe religiose popolari dell’epoca. In Italia il santino si diffuse soprattutto a opera degli stampatori Remondini di Bassano del Grappa. Nato a Padova intorno al 1630, il capostipite Giovanni Antonio si trasferì nel Vicentino, dove operò ininterrottamente per mezzo secolo. La sua attività fu proseguita da figli e nipoti fino ai primi decenni dell’800».
E oggi?
«La più importante azienda stampatrice di santini è la BN Marconi di Genova».
Un impulso indiretto al collezionismo mi pare che lo abbia dato Giovanni Paolo II.
«Non v’è dubbio. Sarà difficile che il suo successore possa eguagliare il record di Papa Wojtyla nella proclamazione di nuovi santi. Dal 1588, quando Sisto V promulgò le norme per il riconoscimento della santità, fino all’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978, ne erano stati offerti alla devozione popolare 302. Il pontefice polacco, in un quarto di secolo, ne ha canonizzati 483. Pio X non era andato oltre i 4, Benedetto XV appena 3, Pio XII s’era fermato a 33, Giovanni XXIII a 10».
Sono già usciti santini delle apparizioni di Medjugorje o della Madonnina di Civitavecchia?
«Ci sono persino quelli di Benedetto XVI, che santo ancora non è. Li ho visti alla Libreria editrice vaticana di piazza San Pietro, dove sono in vendita i miei album. È la prima volta che le figurine fanno la loro comparsa nello Stato pontificio».
Le sembra una società sensibile al soprannaturale quella moderna?
«Molto sensibile. C’è gente che arriva sin qui da Milano o da Genova solo per comprare l’Album dei santini. È rimasto di stucco anche il commercialista Bordini, quando, andando a trovare una sua cliente che produce capi d’alta moda per Gucci e Christian Dior, s’è sentito chiedere: “Ma è vero che lei stampa le figurine dei santi? Tornerebbe subito al suo studio e me ne porterebbe un centinaio di pacchetti per me e le mie amiche?”. Ci hanno telefonato, incoraggiandoci, persino atei dichiarati».
Addirittura. E come mai?
«I santini sono capolavori in miniatura, offrono le stesse emozioni dei grandi dipinti. Però non si posso ammirare al Louvre o al Prado, perché sono in mano ai collezionisti privati. Per cui anche chi non ha fede si complimenta: ho messo 500 anni di storia dell’arte a disposizione di tutti».
Comunque non è come per i campioni dello sport, che vengono ristampati a ogni stagione calcistica. Qui la squadra è eterna. L’anno prossimo come farà?
«Dio vede e provvede. Intanto lavoro per aprire a Lugo il primo museo nazionale del santino. Fra otto mesi potrebbe essere già pronto. Ne ho parlato col sindaco Raffaele Cortesi, diessino: è entusiasta».
(327. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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