Cultura e Spettacoli

«Il mio ritratto di Anita la bella femminista che sedusse Garibaldi»

Aurelio Grimaldi parla del suo nuovo film, primo ciak il 7 novembre: «Lei sarà brasiliana, per l’eroe attendo il sì di Adriano Giannini»

Michele Anselmi

da Roma

Quando si conobbero a casa di amici, in quel luglio del 1839, nell’entusiasmo per l’appena nata Repubblica Juliana, Brasile meridionale, fu amore a prima vista. Lei, Ana Maria de Jesus Ribeira, già maritata, aveva appena 18 anni. Lui, Giuseppe Garibaldi, scappato dall’Italia per sfuggire alla forca e trasformatosi in corsaro anti-monarchico, ne aveva 32. Nel suo incerto portoghese, il futuro eroe dei Due Mondi sibilò: «Tu devi essere mia». Così fu. Temprato nel fuoco della guerra contro l’esercito imperiale di Don Pedro II, il loro amore divenne proverbiale, animando poemi, ballate e dipinti. Aninha, ribattezzata Anita, restò ferita due volte, sfuggì miracolosamente alla cattura portando con sé il neonato Menotti, di appena due settimane, e riuscendo infine a raggiungere l’uomo che l’avrebbe sposata il 28 marzo del 1842, prima di riparare, ormai sconfitto il sogno repubblicano, a Montevideo.
Parrà strano, ma tutto questo diventerà un film. Titolo: Anita. E chissà che Aurelio Grimaldi, il prolifico regista siciliano di La ribelle, Le buttane, Nerolio e tanti altri, non riveda per l’occasione quel Camicie rosse che Anna Magnani volle fortemente interpretare e produrre nel lontano 1952, incurante dell’età non più verdissima, accanto a un Raf Vallone fuori parte nei panni e la barba del Generale. Anita morì a solo 28 anni, nel 1949, malata e incinta del quarto figlio, durante la fuga verso Venezia dopo la caduta della Repubblica romana. Ma il nuovo film si fermerà molto prima, concentrandosi sul biennio brasiliano ’39-40: quello della passione e della guerriglia, dell'amore e dei «farrapos» (gli straccioni).
Ci si chiede: troverà un suo pubblico con l’aria che tira? Sarà anche per questo che il progetto, arenatosi nel passaggio tra vecchia e nuova legge, parte con un finanziamento statale molto ridotto rispetto ai due milioni e mezzo di euro inizialmente richiesti. Non è detto che sia un male, anzi. «Con 920mila euro, più una piccola coproduzione brasiliana, dobbiamo fare un altro film: più intimo e meno istituzionale, a me sta bene. Non ci saranno scene di massa, battaglie epiche, scenografie imponenti. Punterò tutto sul legame intenso tra questi due eroi da giovani», sorride Grimaldi, chiamato in extremis a ritoccare un copione pomposamente costoso e sostituire l’improbabile Ruggero Deodato, sì quello di Cannibal Holocaust.
Primo ciak il 7 novembre a Genova, poi trasferimento a Laguna, Brasile, in quello che fu lo Stato di Santa Catarina. Producono Pino Gargiulo e Lello Mallucci. Spiega il regista: «Perché ho accettato? Perché mi piacciono le sfide. Avendo tanti progetti nel cassetto con l’impossibilità di farli fiorire, ho pensato che un film su commissione andava benissimo. Con Il macellaio, lo so, non funzionò; la storia di Anita e Garibaldi, invece, ha finito col prendermi». Grimaldi vede Anita «come un personaggio ribelle allo stato puro: è bella, focosa, movimentista, quasi una pre-femminista che arringa le contadine con le sue idee di giustizia sociale e parità dei sessi». E Garibaldi? «Be’, mi sembra l’unico personaggio storico che mette d’accordo destra e sinistra. Su Cavour e Mazzini ci si divide ancora, su lui no. Poi mi piace il suo furore ideale e libertario, da eroe ancora inconsapevole». Insomma, il suo sarà un Garibaldi diverso da quelli incarnati in tv da Maurizio Merli e Franco Nero negli anni Settanta, più canonici e barbuti; semmai il paragone si potrà farlo con il Thiago Lacerde di una serie carioca sul tema passata l’anno scorso su Rete 4. «Mi piacerebbe avere Adriano Giannini. Ha la faccia e l’età giuste. Ci siamo incontrati, piaciuti: aspetto una sua risposta. Con lui sarebbe tutto più facile», ammette Grimaldi, pronto a estrarre dal cilindro, visti i tempi ristretti, una soluzione alternativa. Quanto ad Anita, sarà brasiliana al cento per cento: «Non è solo questione di coproduzione. Voglio che sia vera, nello sguardo, nei gesti, nella voce. E molto sensuale. Non lo scrivere, ma secondo me quei due facevano l’amore tre volte al giorno».
Scrisse Garibaldi nelle sue memorie: «Se vi fu colpa, fu tutta mia. Se l’anima di un’innocente ha patito, io solo devo risponderne e ne ho risposto. Ella è morta. Là, presso le bocche dell’Eridano, il giorno in cui, sperando disputarla alla morte, serrai convulsamente i suoi polsi per contenerne gli ultimi battiti, raccoglievo sulle mie labbra il suo sospiro fuggitivo, stringevo un cadavere.

In quel giorno, conobbi tutta la grandezza del mio fallo».

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