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Miracolo, la destra torna unita per ricordare Acca Larentia

RomaAlemanno, Bocchino e Storace di nuovo insieme. A riunire i gemelli diversi, schegge scagliate lontano dall’esplosione di Alleanza Nazionale, ci ha pensato - e non poteva essere diversamente - il passato. La rievocazione, avvenuta ieri nella capitale, della strage di via Acca Larentia, la strada del quartiere Tuscolano in cui il 7 gennaio 1978 furono uccisi tre giovani militanti del Fronte della Gioventù impegnati in un volantinaggio (Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta da estremisti di sinistra, Stefano Recchioni da un carabiniere nel corso dei tafferugli successivi).
Ieri è stata deposta una nuova targa sul luogo dell’agguato di 34 anni fa. A decidere di cambiarla sono stati i militanti dell’ex sede storica dell’Msi, un partito cancellato dalla storia ma non nei ricordi dei militanti di allora, che nella targa continuano a definirsi «camerati». Un vocabolario politicamente scorretto che scatena la reazione idiota di un paio di centinaia di militanti antifascisti di presidio nel vicino quartiere Alberone, riuniti a gridare slogan allucinanti come «10-100-1.000 Acca Larentia».
Schermaglie ideologiche annacquate, che lasciano il tempo che trovano. Ciò che invece resta della giornata di ieri è che tanti militanti di estrema destra, oggi avversari politici, si siano ritrovati insieme sulla barricata del ricordo. Nessuno ha trovato opportuno andare di persona, a parte l’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni, che all’epoca della strage doveva ancora compiere un anno. Tra gli assenti il sindaco di Roma Gianni Alemanno, oggi Pdl, che ha dribblato la cerimonia, preferendo un appuntamento più innocuo al Bioparco. Alemanno, che allora non aveva ancora 20 anni, ricorda bene quella drammatica giornata: «Acca Larentia è stata una strage terribile degli anni Settanta, uno dei momenti più tragici della nostra città, che ha determinato un salto di livello nella violenza politica e nell’odio contrapposto di quegli anni». Tra tigri e zebù, il sindaco non ha che parole rasserenanti. «Mi auguro che la giornata si svolga nel modo più composto possibile e che tutti coloro che vogliono ricordare i tre ragazzi uccisi lo facciano in modo sereno, senza rinfocolare nuovo odio». Sulla stessa lunghezza d’onda Italo Bocchino, che oggi nel Fli, di cui è vicepresidente, è avversario politico di Alemanno: «Ricordare la strage di Acca Larentia è un dovere. Non solo per chi ha sofferto politicamente quell’atto barbaro e ha pagato le conseguenze politiche di uno scontro esasperato, ma è un dovere dell’intera comunità nazionale». A loro si unisce Francesco Storace, segretario della Destra, diciannovenne nei giorni di Acca Larentia, poco propenso però all’appeasement nostalgico: «Io non riesco proprio a dimenticare quella giornata. Vissi qualcosa di simile poco più di un anno dopo, nello stesso luogo, mentre affiggevo manifesti sopra la sezione, e per fortuna oggi lo posso raccontare. I caduti del 1978 hanno lasciato invece tutti noi nel rimpianto. Quei momenti ci appartengono e c’è un diritto a ritrovarsi a commemorare i propri ragazzi assassinati».

Quanto a Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, non ha voglia di parole dolci: «A 34 anni dalla strage di via Acca Larentia invece di negare il diritto al ricordo, come ha sostenuto qualcuno accecato dalla faziosità, ci si dovrebbe indignare perché ancora non hanno un nome i militanti di sinistra che assassinarono Bigonzetti e Ciavatta».

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