Moana, la porno divina che non ribaltava i governi

Va in onda su Sky Cinema martedì e mercoledì la fiction sull’attrice che incarnò il sogno erotico di molti italiani. Cominciò la carriera facendo da testimonial a un’azienda di mobili. Nel suo libro rivelò, anche dando i voti, politici e attori con cui aveva avuto rapporti

Moana, la porno divina che non ribaltava i governi

All'inizio degli anni Ottanta, sulla Pontina, la strada che da Roma porta al mare del Circeo, campeggiavano grandi manifesti della «Città del mobile». Se n'era proclamato sindaco, un arzillo vecchietto, Ugo Rossetti, che per l'occasione si era anche ribattezzato «nonno Ugo» e come tale ti sorrideva dal cartellone. Al suo fianco c'era una bionda giunonica, in bikini striminzito, ma con i tacchi a spillo. «La donna più bella del mondo» diceva la pubblicità-progresso, e padrona di casa nonché ambasciatrice di quella metropoli fatta di legno massello e truciolato in stile impero di cui il nonnino era il primo cittadino... L'Italia del riflusso, dei paninari e degli yuppies, del craxismo e dei fagioli di Raffaella Carrà era anche, e forse soprattutto, questa cosa qui: un misto di provincia e di bordello.

La ragazza in questione si chiamava Moana Pozzi. Ora Sky le dedica un film in due puntate che andrà in onda sul canale cinema martedì e mercoledì prossimo. All’inizio della sua carriera, per lei «nonno Ugo» aveva istituito un premio, il Premio Venere, a cui Moana non partecipava: essendo «la donna più bella del mondo» era fuori concorso. Officiava però, e la cosa, in onda su una tv privata, funzionava più o meno così, se la memoria non mi inganna. Si vedevano delle ragazze in costume succinto, poi uno stacco su una cameretta da bambini con i relativi prezzi, poi «nonno Ugo» con la fascia per la vincitrice, di nuovo uno stacco sul salotto di puro noce completo di lampadario a goccia «tutto in comode rate mensili», ancora uno stacco e infine appariva Moana che danzava avvolta in veli stile «vedo, non vedo»... Non si capiva mai chi avesse vinto.
Anni dopo Moana sarebbe divenuta una delle regine del porno e un'icona del sesso libero e liberato, ma a me è sempre rimasta impressa quell'immagine, più casereccia che peccaminosa, e questo spiega probabilmente perché non sia mai stato un adepto della sua figura da viva, né un vedovo inconsolabile del suo culto da morta.
Bella lo era, naturalmente, ma, sia detto senza polemica, l'Italia di quel decennio, come quella dei Settanta o dei Novanta, è stata piena di belle ragazze, di ragazze anche più belle.

Nel suo Il neo-italiano. Le parole degli anni Ottanta, che Sebastiano Vassalli scrisse alla fine di quell'epoca così particolare e ancora oggi così mal raccontata, la voce «Moana Pozzi» non c'è e alla voce «Pornodiva» viene citata come una fra le tante: «Una tale Lilli Carati, una tale Paola Senatore, una tale Ileana Caruso, detta "Ramba", una tale Moana Pozzi eccetera». Quella fu la stagione di Ilona Staller, in arte Cicciolina, del suo «partito dell'amore», del suo ingresso in Parlamento... Moana, in fondo, non fece in tempo a diventare famosa che un tumore se la portò subito via, e come sempre accade quando si muore giovani e belli la fama postuma riscrisse la realtà, ora trasformandola in «porno divina», ora decidendo che non era mai morta, ora ritagliandole un posto in un presepio di Bologna allestito ancora due anni fa... Alla costruzione del mito contribuirono elementi sparsi: era di buona famiglia, aveva una buona cultura, era a suo modo silenziosa e riservata e piaceva agli intellettuali che soprattutto aborrono le donne che parlano troppo, dispensava il sesso con grazia. Aveva come sua massima una frase: «Vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai» che per i riflussati di sinistra non rimandava a nulla, ma che per quelli di destra, neofascisti o post fascisti che fossero, rimandava a Julius Evola, il «barone nero» del tempo in cui le ideologie esistevano ed erano a colori. Non fosse che per questo, merita rispetto.
Nel 1991 aveva già pubblicato le sue memorie, La filosofia di Moana era il titolo. Vale la pena di ricordarle perché oggi, a vent'anni quasi di distanza, aiutano a capire in quale ginepraio politico-sessuale siamo andati a impelagarci. Era un libretto leggero, dove venivano elencati amori veri e amori, come dire, «mercenari», si facevano i nomi e si davano i voti e si capiva, insomma, che il suo era un po’ stato il letto della Repubblica: politici, attori, registi, intellettuali... Uno solo non veniva citato esplicitamente, ma, come ha ricordato Filippo Ceccarelli nel suo Il letto e il potere, «per raggiungere l'identificazione con certezza matematica, mancavano solo le iniziali e la fotografia della Navicella».

Era Craxi, e con il senno e con il sesso di poi viene da dire che quella era in fondo ancora un'Italia vivibile, dove le scappatelle erotiche di un uomo di governo suscitavano più invidia che indignazione, più interesse

divertito che cipiglio da moralista in servizio permanente effettivo. Ma è anche vero che rispetto a quelle e a quelle/quelli che ne hanno preso il posto Moana era, sia detto senza offesa e con affetto, «una puttana per bene».

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