nostro inviato a Follonica
Se davvero ha accumulato immenso potere e sterminate ricchezze, di certo non gli servono qui. Follonica umida e afosa, «Bagno Golfo», appena oltre la scuola di vela. Il Belzebù del calcio italiano, che un giorno tutti veneravano e oggi nessuno più conosce, sta seduto all'ombra del gazebo. Non si può dire che si goda il fresco, perché il fresco in questi giorni non esiste neppure dentro il mare, ultimamente come un brodo Knorr. Bermudone estivo, maglietta blu, proverbiale sigaro a ciondolo tra le labbra. Ampie fumate. Attorno, una decina di fieri pensionati. È in corso un partitone a coppie, scopa a girone unico. Il compagno e i due avversari adottano lo schema classico, una mano in solenne silenzio e poi la litania del commento tecnico: lui è sornione e impassibile come a Juve-Inter. Sorride, fa sì e no con la testa, tira un po' il sigaro. Se il «Bagno Golfo» non evidenziasse qualche pretesa di eleganza, giusto un accenno, sembrerebbe un quasiasi circolo Acli dell'Italia più anonima e più periferica.
Vai a sapere: hanno raccontato del figlio che ha speso 10mila euro per una serata (inutile, impreca lui) con la D'Amico, starletta di un giornalismo televisivo ormai definitivamente convertito in Novella Duemila, ed ecco il papà che fa un po' di mare su una spiaggia di taglio nazional-popolare. Avesse anche la canottiera bianca a costine, sarebbe spettacolo anni Sessanta. In ogni caso, la partita sembra pulita. Dall'aria che tira, Moggi non riesce a incidere in anticipo sul risultato. Ma va detto che le testimonianze del «Bagno Golfo» lo accreditano di un talento indiscusso.
Moggiopoli, intesa come città di Moggi, è tutta qui. A Follonica. Che senza offesa non è né Punta Ala, né Capalbio, tanto per restare nella stessa piastrella di carta geografica. È Follonica, cioè una disordinata catasta di enormi condomini, come tante località italiane venute su col turismo frettoloso e smodato del Dopoguerra. Che Belzebù sia qui, nei luoghi della balneazione più semplice e più modesta, per tracannare fino in fondo il bicchiere della decadenza? La domanda è inutilmente carogna. Prima di tutto perché penalizza Follonica, che come Gabicce e come Finale Ligure non ha alcuna colpa se non è diventata Capri o Portofino. Ma prima ancora perché infierisce su Moggi, che questi posti li ha sempre tranquillamente frequentati anche quand'era Moggi. Forza, alzi la mano chi ricorda Belzebù danzare sui tavoli, catenone d'oro al petto villoso, sottobraccio la bonazza con le zinne fuori, nei locali d'oro dell'estate vip, vedi Twiga o Billionaire? Belzebù avrà magari taroccato l'intero calcio italiano completamente da solo, come hanno continuamente lasciato intendere soprattutto i suoi padroni, ma di certo non ha mai perso i contatti con la sua estrazione popolana e popolare. Follonica gli stava a pennello prima e gli sta ancora meglio adesso, in un momento che non gli offre molti motivi per folleggiare.
Come sta Belzebù? Per avere un'idea, basta chiudere un puma nella gabbia del criceto. È un po' costretto e un po' irritato, per usare termini cortesi. L'avvocato Trofino, suo legale, lo racconta fuori dalle grazie per quanto ha sentito nel processo d'appello, laddove i difensori della Juventus hanno avuto l'umanità di definirlo «mercante di calciatori». A sera commenterà lapidario «È una sentenza incomprensibile e inaccettabile».
Tra gli ombrelloni, la moglie Giovanna conferma tutto l'amaro del momento. È una signora molto triste. Si stupisce quasi che qualcuno cerchi il marito. «Da due mesi si è fatto il vuoto. Da due mesi non siamo più gente per bene...». Così cambiano i destini di una vita. Da 400 telefonate al giorno, ai lunghi silenzi di oggi. Solo l'anno scorso, di questi tempi, Belzebù si sarebbe immancabilmente trovato al centro delle bancarelle miliardarie di un calciomercato impazzito. Avrebbe detto le solite bugie, avrebbe venduto e comprato senza guardare in faccia nessuno, alla fine avrebbe tirato la riga dei conti relizzando il solito utile, molto gradito ai datori di lavoro. Adesso, può solo tirare i conti dello briscola chiamata. Con i suoi amici pensionati, gente che stava qui prima e che continua a stare qui adesso.
Follonica non sarà Portofino, ma offre adeguati ripari e sufficienti conforti a un Belzebù in rovina. Qui c'è tutto quello che gli serve, almeno ora che non gli serve granché. Ha il sostegno della sorella, che lo ospita in una modesta casa senza vista mare, perché sta lontana dal mare. Con loro c'è l'anziano papà, che non sta benissimo di salute.
La giornata va via abbastanza banale. Il mare al «Bagno Golfo», le partite a carte, qualche giro in centro, la lettura neanche tanto appassionata dei giornali. Nella data fatale del verdetto finale, i ritmi non cambiano. Lucianone tira sera sotto il gazebo, mentre la signora Giovanna fa il mare in spiaggia. Prima di commentare, dice a metà pomeriggio, preferisce prendere tempo. Ma neanche due parole così, in libertà? È molto cordiale, ma fermo: «Ci vediamo domani - oggi per chi legge - a Torino. Con calma. Non sarà una conferenza stampa. Parlerò solo con pochi giornalisti, quelli di cui mi fido». E il nuovo mestiere di «rompicoglioni», che minacciosamente aveva annunciato non più tardi di qualche giorno fa? «Domani vi dirò. Appuntamento all'Hotel Concorde, c'è già la sala prenotata». Sarebbe una convocazione segreta, ma Moggi non me ne vorrà se sono qui a renderla pubblica, visto che già a Torino se ne parla apertamente con un certo prurito.
Come succulento anticipo c'è però un primo commento a caldo, di sera, immediatamente dopo aver appreso d'essere l'unico ad uscirne senza sconti. Come il provino di un film d'azione. La molla è bella carica, ce n'è già per quasi tutti. Ironia amara per il suo avvocato, assente all'appello: «Hai fatto bene a startene al mare, tanto...». Sarcasmo per Carraro: «Certo, lui era solo un vigile urbano: basta un'ammenda...».
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