Argentina, Macri vince ma è "un'anatra zoppa"

La sua coalizione non ha stravinto e "Cambiemos" è minoranza in Parlamento

Argentina, Macri vince ma è "un'anatra zoppa"

“Vi prego, voi che mi avete portato sin qui non mi abbandonate”. Manca poco che chieda come fa sempre Papa Francesco che “rezen por él”, ovvero “preghino per lui” Mauricio Macri, mentre tiene il suo primo discorso da presidente neoeletto dell’Argentina di fronte una folla degna della Bombonera, lo stadio del Boca Junior da lui fatto ricostituire quando era “appena” il presidente di una squadra di calcio. Macri ha vinto ma non ha stravinto come prevedevano gli sgangherati sondaggisti argentini, che un mese fa davano Daniel Scioli presidente già al primo turno ed anche ieri hanno “cannato” alla grande: prevedevano Mauricio in vantaggio anche di 15 punti percentuali mentre, con il 99,17% dei seggi scrutinati, la differenza tra i due in questo momento è appena di 705mila voti, con Macri al 51,4% e Scioli al 48,6%.

Dal prossimo 10 dicembre Macri s’insedierà alla Casa Rosada, la sede della presidenza argentina. “Sarà una nuova tappa meravigliosa” ha promesso per poi invitare i suoi supporter a ripetere lo slogan obamiano della sua campagna “Sì, se puede”. “Sì, si può”, “yes, we can”, si può cambiare insomma, come dimostra anche il nome della coalizione “Cambiemos” che lo ha appoggiato. Il cambiamento è sicuramente storico per almeno tre fattori oggettivi. Il primo, sottolineato da tutti i media internazionali, è che dopo 12 anni– i primi 4 con Néstor Kirchner, gli ultimi 8 con la moglie/vedova Cristina Fernández - il kirchnerismo non sarà al potere.

Il secondo dato di fatto è che con Macri presidente è destinata a cambiare la politica estera dell’Argentina. Come anticipato in campagna elettorale, il neopresidente si attiverà per la liberazione di Leopoldo López, principale leader d’opposizione in Venezuela, in carcere senza motivi plausibili dal 18 febbraio del 2014. Inoltre potrebbe anche attivare la cosiddetta “clausola democratica” che consentirebbe di sospendere la stessa Caracas dal Mercosur. Sicuramente allenterà le alleanze con i paesi della sinistra bolivariana sudamericana, strette invece in modo assai vigoroso dall’uscente Cristina Kirchner, riavvicinandosi di più sia con gli Stati Uniti che con l’Unione europea.

Il terzo fattore oggettivo, altrettanto importante ma ignorato dai più, è che dal ritorno della democrazia in Argentina nel 1983, se dovesse concludere il suo mandato il 10 dicembre 2019 l’ingegner Macri sarebbe il primo non peronista a “riuscire nell’impresa”. Sia Raúl Alfonsín che Fernando de la Rúa furono infatti costretti a dimettersi “in anticipo”, il primo per un’iperinflazione “monstre” nel 1989, il secondo fuggendo addirittura in elicottero dalla Casa Rosada per evitare una folla imbufalita dal default di fine 2001. Chi scrive è il primo ad augurare a Macri di farcela ma, per non essere un’anatra zoppa, il neopresidente dovrà sicuramente allargare le sue alleanze parlamentari e stipulare un patto di governabilità con possibili “esuli” dal kirchnerismo sconfitto, a cominciare dagli sciolisti.

La sua “Cambiemos” è infatti minoranza in Parlamento ma mentre alla Camera a Macri basterà allearsi con l’ex

kirchnerista/peronista Sérgio Massa per raggiungere la maggioranza, in Senato il neopresidente dovrà venire a patti anche con qualche peronista del kirchnerista Frente para la Victoria per governare. Possibile ma tutt’altro che facile.

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