Quella deriva orientalista di Angela Merkel che non piace a Washington

La cancelliera tedesca, dopo il riavvicinamento con Vladimir Putin, vola a Pechino per firmare accordi commerciali e discutere di Siria

Quella deriva orientalista di Angela Merkel che non piace a Washington

Non contenta di essere il motore economico dell’Europa, la Germania vuole diventare un gigante politico di primo piano sulla scena internazionale. La semplice contabilità statistica è un abito troppo stretto per un Paese che possiede tutte quelle caratteristiche per alzare la voce. Il rifiuto di partecipare alla seconda guerra del Golfo, la neutralità nel conflitto libico, la realizzazione del gasdotto North Stream che porta il gas russo in Germania, le divergenze con gli Stati Uniti sul trattato transatlantico di libero scambio, così come il ruolo da mediatore assunto da Angela Merkel nel contenzioso ucraino sono degli evidenti segnali di una nazione che sta per la prima volta - dalla sua riunificazione nel 1990 - ricercando un’identità propria che prende in considerazione il passato. All’improvviso sembra che i capi della diplomazia a Berlino abbiano tutti rispolverato il saggio “Considerazioni di un impolitico” (1918) dove Thomas Mann racconta quel legame spirituale tra l’animo tedesco e l’animo russo. Eppure che la Germania si stia ricollocando al centro dell’Europa, tra Oriente e Occidente, è una realtà geopolitica. La supremazia teutonica sul Vecchio Continente è un incubo tutto anglo-americano che affonda le sue radici nel passato e che è sempre stato combattuto, anche con le armi. Ecco che la tesi del filosofo di Plettenberg Carl Schmitt ritorna di nuovo: terra e mare non sono soltanto due elementi, due forze naturali, due spazi vitali, terra e mare, nella loro polarità, sono il “motore segreto della storia”.

Gli Stati Uniti ora temono la volontà di potenza tedesca tanto da aver lanciato una serie di avvertimenti volti a colpire il cuore della Germania. Non a caso lo scandalo Volkswagen è partito dall’Epa, l’agenzia governativa per la protezione dell’ambiente che ha sede a Washington. Idem lo le accuse contro la Deutsche Bank, da quelle parti considerata “la banca per eccellenza”, sono partite proprio da Wall Street. Senza dimenticare la storia dello spionaggio incrociato di qualche mese fa cha visto coinvolti i due Paesi. Ma forte del suo consenso popolare Angela Merkel non teme le “nazioni di mare”. Proprio in questi giorni la cancelliera è andata Pechino per incontrare i leader della seconda economia del pianeta e difendere gli interessi commerciali tedeschi. L’ottavo viaggio di Angela Merkel è stato incentrato sul rafforzamento della cooperazione economica e il ruolo del Paese asiatico nelle crisi internazionali. Quasi un terzo di tutti i flussi commerciali tra la Cina e la Ue passa per la Germania, mentre la Repubblica popolare cinese è diventata il più importante partner commerciale della Germania in Asia e il terzo nel mondo. La Germania è inoltre il più importante partner commerciale della Cina all’interno dell’Unione Europea, con investimenti diretti esteri nel Paese che ammontano a 48 miliardi di euro e scambi che hanno raggiunto quota 154 miliardi di euro a fine 2014. Le esportazioni tedesche in Germania si aggirano intorno ai 75 miliardi di euro, un terzo delle quali nel settore automobilistico.

Nei colloqui con il premier, Li Keqiang, e il presidente Xi Jinping si è anche parlato della necessità di trovare una soluzione politica alla crisi in Siria. “La cosa più importante”, ha dichiarato Li, “è cogliere l’opportunità di una soluzione politica e realizzare un dialogo egualitario, inclusivo e aperto”. La Cina, ha assicurato, continuerà ad avere un “ruolo costruttivo” nella risoluzione della crisi. “Abbiamo bisogno di una soluzione diplomatica”, ha convenuto Angela Merkel, “è urgente trovarne una”. Il cancelliere tedesco ha osservato che “ci sono segnali di un dialogo che riunirà i partecipanti necessari”, in allusione ai colloqui al via a Vienna con il coinvolgimento, tra gli altri, di Turchia, Arabia Saudita e Iran.

La posizione di Berlino rimane chiara e potrebbe essere determinante per il futuro della Siria: come durante le guerre contro Iraq e Libia, la Germania condanna la militarizzazione del conflitto aprendo de facto alla sola via diplomatica.

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