Sono in molti a non aver ancora chiara la portata del conflitto in atto su scala planetaria. Perché fuori dai teatri di guerra convenzionali e quindi meno visibile agli occhi degli osservatori, si sta consumando una lotta che darà un nuovo corso agli equilibri internazionali come noi li conosciamo. Una nuova classe politica sembra essere entrata nella “stanza dei bottoni” cercando di disinnescare quella bomba chiamata “globalizzazione”, i cui benefici sono stati goduti unicamente dai rappresentanti del mondo finanziario occidentale. Da una parte vi è quindi una classe dirigente che con la formula “politica asservita all’economia” ha fatto le fortune, proprie, negli ultimi trent’anni. Dall’altra ci sono gli esclusi della globalizzazione, che oggi trovano risposta nei movimenti cosiddetti “populisti” per cambiare la rotta della politica internazionale. Non più quindi fascismo contro comunismo o capitalismo contro socialismo, ma mondialismo contro sovranismo.
Per non rimanere però in una dimensione generica e dai tratti poco chiari è meglio dare nomi e cognomi a questi due grandi “partiti”. Ray Dalio gioca un ruolo fondamentale in questo conflitto. Ray Dalio è un multimiliardario americano, il cui patrimonio personale si aggira intorno ai 16 miliardi di dollari. Trattasi della 69esima persona più ricca nel mondo. Dalio è il fondatore, nonché numero uno, di Bridgewater, il più grande Hedge Fund del mondo. In pratica è un’azienda che gestisce investimenti in tutto il mondo, con un totale che arriva a toccare i 130 miliardi di dollari. Ray Dalio può quindi essere ragionevolmente considerato un esponente di spicco di quella classe manageriale che ha fatto la propria fortuna grazie al processo di globalizzazione degli ultimi trent’anni. Così il fondatore di Bridgewater ha deciso di scrivere di suo pugno un documento per attaccare politicamente chi ora minaccia il suo patrimonio multimilionario. I populisti.
In un paper di 81 pagine pubblicato lo scorso mercoledì Ray Dalio ha descritto la storia dei movimenti populisti sviluppatisi in dieci nazioni. Nel paper vengono analizzati numerosi personaggi tra cui Hugo Chavez, ma anche il Presidente USA Franklyn Delano Roosvelt, considerato un “populista”. Il documento ha però un intento allarmistico. Secondo Dalio, infatti, il populismo oggi sarebbe arrivato al suo punto più alto dagli anni ‘30 del secolo scorso. Dalio, che è abituato a trattare con numeri e indici 24 ore al giorno, ha infatti tracciato un “Indice di Sviluppo dei Populismi del Mondo”. Un indice ricavato dal numero di voti ricevuti dai partiti “anti-establishment” nel mondo. Questo indice avrebbe raggiunto oggi il “picco” del 35%, attestandosi subito dietro al punto più alto, il 40%, raggiunto nel 1938.
Nel documento però non si citano personaggi attuali, ma una frase di Dalio colpisce su tutte: “la crescita del populismo è una minaccia per le corporations multinazionali”. Appare chiaro dunque l’intento del fondatore di Bridgewater. Il suo documento è un messaggio per tutti quelli che come lui occupano ruoli chiave di grandi aziende multinazionali che hanno beneficiato del processo di globalizzazione. Si tratta dunque di un vero e proprio appello a tutti i suoi “colleghi” per fronteggiare una minaccia che ad oggi occupa la stessa Casa Bianca. Un messaggio ricevuto immediatamente. JP Morgan, come riportato da Paolo Barnard, ha infatti pubblicato una nota agli investitori: “Ci aspettavamo un programma di de-regolamentazione, di riforma delle tasse, di ampliamento della spesa pubblica, ma poi Trump se n’è uscito con bordate contro gli scambi internazionali, contro l’immigrazione e questo ha preoccupato gli investitori, e i Mercati non hanno preso ste cose molto bene. Crediamo che per la crescita degli americani tutto questo non sia proprio meraviglioso.
I Mercati non hanno preso bene la sua retorica sull’immigrazione, no, proprio no”.I colossi della finanza non hanno dunque nessuna intenzione di perdere le loro quote di mercato e si stanno mobilitando per quella che sarà una grande controffensiva.
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